Divina Provvidenza, due regioni a Roma per il «salvataggio»

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di MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it 

Al tavolo sono state convocate anche Puglia e Basilicata. Perché è ovviamente necessario il loro assenso. Lunedì, al ministero del Welfare, si gioca una partita fondamentale per il futuro della Casa Divina Provvidenza: per salvarsi dal crac e continuare ad esistere, l’ente ecclesiastico deve ottenere dalle Regioni un incremento delle tariffe che consenta di far fronte alla situazione debitoria.Dopo gli arresti e lo scandalo, è infatti il momento di pensare al futuro. I circa 450 milioni di debiti sono in gran parte verso lo Stato, e d’altra parte ci sono circa 3.900 lavoratori che attendono di conoscere il proprio destino. La Regione Puglia è il maggior «cliente» del Don Uva: la clinica di Bisceglie ha un tetto di spesa fissato a 36,5 milioni (con la Asl Bat) e quella di Foggia a 27 milioni. La voce più importante è l’assistenza ai pazienti ortofrenici, circa 500 persone, per le quali la Regione spende 105 euro al giorno: persone ricoverate lì anche da mezzo secolo, che hanno alle spalle storie incredibili perse nell’Italia del Dopoguerra in cui la Chiesta mandava a Bisceglie da ogni parte d’Italia i «figli dello scandalo», bambini che sono cresciuti nell’allora manicomio e sono ancora lì, dove sono diventati numeri. Poi c’è l’assistenza ai malati di Alzheimer, rimborsata con 135 euro al giorno, e infine la riabilitazione funzionale «ex articolo 26», che vale 246 euro al giorno.

In questo quadro, la Divina Provvidenza ottiene rimborsi dalle Regioni come se fosse una clinica privata. Le indagini della Finanza hanno fatto saltare fuori anche un tentativo di truffa a Puglia e Basilicata, ma in questo momento il punto è diverso. Il punto è che il commissario straordinario, Bartolo Cozzoli, chiederà alle due Regioni di adeguare le tariffe (e di conseguenza i tetti di spesa): dopo essere intervenuto sul fronte dei costi, con un taglio netto alla spesa, proverà insomma ad incrementare i ricavi.

Il problema è garantire il futuro delle cliniche di riabilitazione, e quello dei malati ortofrenici. La Basilicata sembrerebbe interessata ad acquisire la clinica di Potenza, che è l’unico presidio di riabilitazione pubblico esistente sul suo territorio. La Puglia, invece, non può assolutamente pensare ad «internalizzare» Bisceglie e Potenza: è vero che i debiti resterebbero in carico al commissario, ma il carico di personale (superiore a quello dell’intera Asl Bat) è considerato assolutamente insostenibile. E, d’altro canto, con un fondo sanitario nazionale che andrà sempre più contraendosi, non è nemmeno ipotizzabile assumere oggi un impegno valutabile in 100-150 milioni di euro l’anno.

L’incremento delle tariffe, sul quale almeno la Puglia sembrerebbe disposta a ragionare sulla base di una rimodulazione dei servizi (e comunque in maniera limitata a qualche punto percentuale) servirà comunque al commissario Cozzoli per proseguire nel tentativo di rimettere in bonis l’attività. Dopo l’estate, infatti, verranno pubblicati i bandi per affidare le cliniche e vendere gli assett dell’ente ecclesiastico, ed è qui che si gioca l’intera partita. Bisognerà capire cosa intende fare il Vaticano, se organizzerà un salvataggio (come è stato fatto, ad esempio, per il Bambin Gesù), o se invece lascerà che la proprietà passi di mano. La situazione della sanità ecclesiastica nazionale in questo momento non è delle più floride, anche se da questo punto di vista la Puglia è in controtendenza. E d’altro canto il commissario ha già ricevuto manifestazioni di interesse da tutti i maggiori gruppi italiani della sanità privata: l’ipotesi più probabile, insomma, è che il futuro della Divina Provvidenza sia uno «spezzatino», e che l’epoca dell’opera «Don Uva» sia destinata a un inglorioso tramonto.

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