D’Introno deve rimanere in carcere: «Ha denunciato i giudici, è complice»

L’imprenditore che ha fatto condannare Nardi e Savasta aveva chiesto l’affidamento in prova. La sorveglianza: non la merita – di MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Flavio D’Introno dovrà continuare a scontare nel carcere di Trani la condanna definitiva a 5 anni e 6 mesi per usura riportata nel 2016. Il Tribunale di Sorveglianza ha detto «no» all’affidamento in prova per l’imprenditore che, con le sue rivelazioni, ha consentito l’avvio dell’inchiesta di Lecce nei confronti degli ex magistrati di Trani: questo anche perché – secondo i giudici della Corte d’appello di Bari – è attualmente sottoposto alle indagini che lui stesso ha contribuito a far aprire.
Avendo denunciato la corruzione dei magistrati, ed essendo parte in causa, D’Introno deve rimanere in carcere. «La pendenza dunque di altri procedimenti per gravi fatti di criminalità nella forma associata commessi peraltro in tempi recenti (fatti di estremo allarme sociale per i quali notevole è stato il rilievo e clamore locale per aver essi coinvolto anche magistrati del distretto barese) – è scritto nel provvedimento firmato dal magistrato estensore Simonetta Rubino -, è palesemente indicativa, a parere del Collegio, dell’assoluta assenza di quel requisito costantemente indicato nella giurisprudenza di legittmità come elemento fondamentale e necessario per una prognosi favorevole circa il buon esito della prova e la prevenzione del rischio di recidiva». D’Introno (con l’avvocato Vera Guelfi) aveva chiesto di poter lasciare il carcere e di poter andare a lavorare come addetto alle vendite in una azienda della sua zona. Ma a parere della Sorveglianza, il titolare dell’azienda non darebbe sufficienti garanzie essendo sottoposto a un procedimento penale. E, in ogni caso, l’imprenditore di Corato non si sarebbe comportato bene nel primo anno di detenzione e sarebbe ancora un delinquente: «Non ha certo conformato il proprio agire ai principi del vivere lecito e civile: reiterando nelle condotte illecite, egli è dunque ben lungi dall’aver intrapreso un effettivo percorso di cambiamento». Tanto da non avere nemmeno mai risarcito le parti civili del processo in cui è stato condannato per usura: proprio per evitare quella condanna ora definitiva – lo ha raccontato lui alla Procura di Lecce – D’Introno avrebbe pagato e fatto favori ai tre giudici Michele Nardi, Antonio Savasta e Luigi Scimè, tutti poi condannati.

Un cortocircuito che lascia perplessa la difesa. «Ogni vizio rilevato nella posizione del D’Introno – dice l’avvocato Guelfi – è documentato in senso contrario dagli atti che erano in possesso anche del magistrato. Il comportamento negativo nel primo periodo di detenzione cautelare è contraddetto dal fatto che lo stesso magistrato ha concesso i 45 giorni di liberazione anticipata per quello stesso periodo. Il D’Introno ha risarcito le parti civili costituite nel processo Fenefator, diversamente da quanto affermato. I datori di lavoro sono stati assolti con formula piena e sentenza definitiva». Ma il punto nodale riguarda la posizione processuale dell’imprenditore di Corato, che a Lecce è coimputato dei giudici già condannati ma è anche loro vittima: «Sostenere che il D’Introno non ammetta le proprie responsabilità e sia lontano da un percorso riabilitativo perché soggetto interessato da accuse per diffamazione e reati con la pubblica amministrazione – secondo l’avvocato Guelfi – significa voler ignorare quanto noto a tutta Italia ossia il comportamento collaborativo del D’Introno nelle indagini nei confronti dei colleghi del magistrato che ha emesso il provvedimento di diniego». La Procura di Lecce ha chiesto il rinvio a giudizio di D’Introno separatamente rispetto a quello degli altri imputati per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. L’udienza preliminare, rinviata tre volte, è fissata a luglio. L’imprenditore coratino, entrato in carcere nell’ottobre 2019, finirà di scontare la condanna per usura a marzo 2024.

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