Crac Divina Provvidenza. I giudici: ecco il potere Azzollini

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di MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

La Divina Provvidenza di Bisceglie era amministrata da un sodalizio di «derivazione azzolinana», un «sistema di potere» che ha gestito l’ente ecclesiastico «grazie alla “copertura politica”» del senatore Antonio Azzollini. Un gruppo cui il Tribunale della Libertà di Bari ha riconosciuto le caratteristiche dell’associazione per delinquere: Azzollini e i suoi sodali operavano «in forza di accordi raggiunti con i vertici della Congregazione, nei quali questi ultimi accettavano il “commissariamento”, ottenendo in cambio l’”assicurazione dell’appoggio politico per una legge che era di vitale importanza per la stessa sopravvivenza dell’ente ospedaliero».Le parole del Riesame (presidente Lamalfa, relatore Mattiace), contenute nell’ordinanza riguardante un altro degli indagati nell’inchiesta di Trani per il crac da 500 milioni di euro della Divina Provvidenza, suonano dunque come una risposta a distanza al voto con cui il Senato ha negato gli arresti domiciliari per l’ex sindaco di Molfetta: arresti che gli stessi giudici baresi hanno confermato con un’ordinanza di cui tra oggi e domani dovrebbero essere note le motivazioni.

«Se la crisi della Cdp ha finito col tradursi, nel corso degli ultimi anni, in un immane disastro finanziario – scrive il Riesame -, lo si deve al fatto che il sodalizio ha imperversato sull’ente sia imponendo le sue logiche politiche, sia usufruendo del “complice silenzio” di molteplici dirigenti della Congregazione». Azzollini risponde di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e alla concussione, accuse che per il collegio barese valgono sia per il senatore che per i tre professionisti considerati a lui vicini nella gestione dell’ente. «È proprio la constatazione della presenza e del ruolo di tali soggetti, tutti certamente riconducibili al sen. Azzollini, che fornisce il dato oggettivo della “presa di potere” da parte di quest’ultimo e dell’articolazione dell’associazione per delinquere quanto meno a far data dal suo “ingresso”».

Per motivare la sua ricostruzione, il Riesame richiama alcuni episodi già noti, dalle telefonate con cui gli uomini di Azzollini chiedevano di escludere dall’elenco degli esuberi tutti i dipendenti di Molfetta fino alle minacce alle suore) e parla di «un “sistema” di potere che esigeva – indebitamente – il controllo dell’attività imprenditoriale e che operava intimidazioni con fare prevaricatore ed arrogante, con capacità di tenere tutti e tutto sotto controllo gestendo illecitamente potere, pilotando i contratti con i fornitori, ordinando assunzioni lavorative: un sistema che si connota, dunque, con gli elementi costitutivi tipici dell’associazione a delinquere».

Ma nell’ordinanza si fa riferimento anche ad alcune circostanze emerse dagli interrogatori di garanzia, come quella raccontata dal commercialista Rocco Di Terlizzi, la cui presenza in Cdp «fu imposta dal senatore Azzollini quale condizione perché egli continuasse ad attivarsi per la proroga della disciplina che consentiva alla Congregazione gli sgravi fiscali e contributivi». Di Terlizzi era stato incaricato di redigere una due diligence sui conti della Divina Provvidenza, documento che non è stato mai ritrovato ma che – secondo i giudici – l’ente ecclesiastico aveva dovuto commissionare e pagare proprio per soddisfare una precisa richiesta del suo «padrino politico». «Il Di Terlizzi consegnò la relazione proprio al senatore Azzollini precisando: “L’ho consegnata al senatore perché era stato Azzollini che mi aveva chiesto di fare una due diligence perché a febbraio 2011 c’era il decreto Milleproroghe con cui si prorogava sistematicamente quella norma (il congelamento dei debiti tributari e previdenziali voluto da Azzollini, ndr) e quindi lui avrebbe avuto un documento su cui basare le proprie valutazioni di natura politica».

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