«Così la mafia ha lucrato anche dalla pandemia». Infiltrazioni nelle aziende, cybercrimine, violenze: parla il generale Cairo

La criminalità comune, quella dei reati da strada costretta a restare chiusa in casa. La mafia che ha continuato a lavorare anche durante il lockdown e che approfittando della crisi economica indotta dalla pandemia ora cerca di vestire i panni del buon samaritano prestando soldi alle imprese in difficoltà . L’aumento delle violenze sessuali proprio durante l’isolamento in controtendenza rispetto alla diminuzione delle denunce per maltrattamenti in famiglia. Il bilancio del lavoro svolto dall’Arma dei Carabinieri durante il 2020 non può non tenere conto della pandemia e di come questa, lo spiega bene il generale Fabio Cairo, comandante provinciale, ha condizionato il lavoro di prevenzione e quello investigativo.

Generale, il distanziamento ha provocato un crollo del numero di reati denunciati. Da maggio però i numeri sono tornati a crescere. Ladri, scippatori, borseggiatori a causa dell’isolamento hanno dovuto riciclarsi, come si sono guadagnati da vivere?

«Il lockdown sicuramente ha influito sull’andamento della curva della delittuosità. Soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti reati predatori, quelli da strada, quelli che incidono sul livello di sicurezza percepita dalla gente. Complessivamente i reati sono in diminuzione. Riassumendo l’andamento durante il primo quadrimestre, si è registrata una riduzione del 23, quasi 24%. Tra i più invasivi, cito i furti che hanno subito una notevole diminuzione. Una decrescita che nelle medesime proporzioni ha interessato anche le rapine e i danneggiamenti. Un fenomeno indotto dalle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria che ha avuto una ricaduta positiva, migliorando la percezione che la gente ha, osservando l’ambiente in cui vive, della propria sicurezza. Da marzo a inizio maggio la gente è rimasta in casa, svuotando le strade e creando le condizioni peggiori per la criminalità comune che ha dovuto fermarsi. La notte è diventata più sicura, non ci sono più stati, ad esempio, gli inseguimenti con auto o moto sospette che invece sono tornati dopo la fine della grande chiusura. I cosiddetti reati da strada hanno subito una battuta di arresto durante il lockdown ma poi sono ripresi. Ladri e rapinatori hanno dovuto stringere la cinghia ma poi hanno dovuto rifarsi sotto».

Per quello che invece riguarda le attività gestite dalla malavita organizzata, anche in questo caso c’è stata una paralisi dei traffici?

«Le cose in questo ambito sono andate diversamente. Anche il piccolo spacciatore, che lavora per i clan o che dai clan si rifornisce, è riuscito a sopravvivere. La criminalità organizzata i suoi affari, i suoi traffici, le sue attività illecite ha continuato a coltivarli e a svilupparli anche nei momenti più severi della crisi sanitaria. Le mafie hanno proseguito la loro marcia, in alcuni momenti rallentando l’andatura ma senza mai uno stop vero e proprio. Non potevano permettersi di rimanere ferme. Non lo hanno fatto neppure durante i mesi di chiusura quasi totale. Le associazioni mafiose hanno un costante bisogno di denaro fresco per continuare a mantenere non solo le famiglie dei boss e più in generale degli affiliati ma anche quelle dei sodali finiti in carcere. Il sentimento di appartenenza viene tenuto vivo anche attraverso questa specie di welfare criminale che rappresenta il collante, garantisce e fidelizza gli appartenenti al sodalizio, dai padrini alla bassa manovalanza. In questo momento, ad esempio, sebbene i contagi continuino a mantenersi alti, nonostante le limitazioni agli spostamenti e il coprifuoco notturno, i reati di spaccio sono in aumento costante. Osserviamo nel contempo una diminuzione degli arresti per detenzione ai fini di spaccio. I venditori di droga hanno aguzzato l’ingegno ed elaborato nuove strategie, nuove metodologie per far giungere le dosi ai clienti o trasferire gli approvvigionamenti. Ad esempio nella vendita al dettaglio, i social network, da WhatsApp a Telegram, sono diventati teatro delle contrattazioni e degli accordi stretti tra venditore e acquirente. Chi invece organizza i traffici o tiene le fila della vendita all’ingrosso è riuscito a escogitare uno stratagemma per sfruttare quei servizi che hanno continuato a lavorare anche durante il lockdown, come ad esempio i corrieri espresso».

Vuole dire che gli spedizionieri per consegne rapide sono stati utilizzati come corrieri della droga?

«A loro insaputa. Sono state inconsapevoli le società che curano il trasporto, alla stregua dei messi che portavano materialmente l’unità di carico a destinazione. Lo abbiamo scoperto in maniera del tutto accidentale, esattamente quando a uno dei corrieri è sfuggito di mano il pacco che avrebbe dovuto consegnare e che cadendo si è aperto. A quel punto il messo si è reso conto che il contenuto era ben diverso da quello segnalato. Stiamo parlando di un panetto di hashish del peso di 50 grammi. Hashish che abbiamo scoperto faceva parte di una spedizione composta da altri colli identici, inviati tutti dallo stesso mittente di Bari a un destinatario che vive in un’altra provincia. Ovviamente i nomi indicati sulle etichette e sui documenti di trasporto erano fasulli. La società di spedizioni ci ha subito informato e noi siamo riusciti a risalire al vero mittente e al vero destinatario dei panetti. Questo dimostra che anche quando tutto o quasi sembrava fermo, la malavita continuava a lavorare. La malavita inoltre ha cercato di rifornirsi di contante, per fare fronte alla flessione degli introiti che comunque c’è stata attraverso gli assalti ai postamat, che hanno rappresentato il salvadanaio dal quale bande ben organizzate hanno cercato di attingere più volte. Non è un caso che se nel 2019 gli assalti sono stati pari a zero, durante il 2020 invece questo genere di reato è tornato di moda».

Secondo l’Istat, già nel giugno 2020 il 38% delle aziende italiane segnalava rischi di sostenibilità della propria attività, mentre il 51,5% prevedeva di avere problemi di liquidità entro la fine dell’anno. La Procura di Bari ha paventato il rischio che la criminalità organizzata potesse tentare di accreditarsi presso gli imprenditori in crisi di liquidità con lo scopo di infiltrarsi negli asset proprietari o di controllo, oppure esercitando forme oppressive di usura. Quel rischio è reale?

«La mafia ha i suoi risparmi, il suo tesoretto messo da parte ai tempi delle “vacche grasse” al quale probabilmente ha attinto in questi mesi di magra. Lo ha fatto certamente per sostenere le proprie famiglie durante il lockdown. Abbiamo motivo di credere che possa averne investito una parte per fare piccoli prestiti. Potrebbe aver indossato i finti panni del benefattore offrendosi di aiutare il piccolo commerciante o il ristoratore in difficoltà. Gente che per mantenersi a galla non ha bisogno di milioni di euro ma di piccole somme. Abbiamo fatto in Prefettura diverse riunione con i rappresentanti delle categorie più esposte e delle associazioni anti racket per elaborare insieme una strategia finalizzata a contrastare il fenomeno delle estorsioni e dell’usura. Abbiamo registrato un numero comunque significativo di denunce per usura ed estorsioni, anche in questo periodo di emergenza sanitaria. Al di là dei casi già segnalati, continuiamo a tenere la situazione sotto controllo. Stiamo cercando di cogliere anche il più piccolo segnale di cambiamento. Dall’ipotetico cambio di gestione dell’attività al centro della nostra osservazione all’assunzione di nuovi lavoranti, fino al tipo di clientela nuova».

L’isolamento e la convivenza forzata hanno alimentato le tensioni all’interno di molte famiglie già fragili. Le richieste di aiuto, le segnalazioni di abusi e violenze in famiglia sono aumentati o al contrario le denunce sono diminuite?

«Dobbiamo purtroppo prendere atto che il numero delle violenze e degli abusi sessuali durante il lockdown è cresciuto del 50%. Nei primi mesi del 2020, infatti, sono stati denunciati 21 episodi, a fronte dei 14 riferiti allo stesso periodo dell’anno precedente. Un elemento è emerso in tutta la sua gravità, ossia come questi abusi siano stati consumati per la maggior parte all’interno di contesti familiari, di unioni tra conviventi, comunque di rapporti, frequentazioni e routine già consolidate e vissute tra le mura domestiche, condizione che si verifica il 77% delle volte. Le vittime sono state soprattutto le donne aggredite dai mariti o dai compagni. Come accennavo prima, il periodo più critico è stato quello del primo quadrimestre, mentre nel corso di tutto l’anno l’incremento si è attestato intorno al 22%. Per gli atti persecutori abbiamo un aumento del 10% nel primo periodo e una riduzione del 6% per tutto l’anno. Nel contempo si è registrata una diminuzione significativa delle denunce per maltrattamenti in famiglia (meno 4% nel primo quadrimestre e meno 13% durante tutto l’anno). Ma questo necessariamente non significa che siano stati consumati meno reati. Ovvero, è altamente probabile che la convivenza forzata abbia spinto le vittime dei maltrattamenti (mogli o figli) a non denunciare nella impossibilità di poter trovare una sistemazione alternativa. Per fare fronte a questa materia così delicata, abbiamo creato una struttura specializzata della quale fa parte una militare, una donna con una specifica preparazione che assume il compito delicatissimo di interagire con la vittima di un abuso. Inoltre grazie alla collaborazione con il Club di Bari del Soroptimist International, disponiamo nella nostra caserma di via Tanzi di una stanza per l’ascolto protetto delle vittime di violenza, siano esse donne o bambini. In situazioni del genere nelle quali ci ritroviamo di fronte a reati da codice rosso, la legge che tutela le vittime di violenze di genere, si innesca una procedura che ci porta subito ad investire del caso la Procura e poi ad attivare, attraverso l’intervento della Prefettura, una misura tutoria. In tutto questo dobbiamo tenere conto della volontà della vittima, della sua disponibilità a denunciare».

Il cyber-crime ha sfruttato l’emergenza coronavirus. Come sta rispondendo l’Arma?

«I reati informatici, in particolare le truffe, hanno fatto registrare a Bari un incremento del 10% nei primi quattro mesi, del 23% nell’arco temporale che comprende tutto il 2020, tranne le ultime settimane che dovrebbero però confermare lo stesso trend negativo. L’Arma si è attrezzata creando già da qualche tempo all’interno del Nucleo Investigativo incardinato a Bari all’interno del Reparto operativo provinciale, delle squadre specializzate. Le vittime sono soprattutto persone anziane che spesso hanno poca dimestichezza con gli strumenti informatici e che, troppo spesso, senza rendersene conto, prendono per autentici messaggi, sms, email truffaldine, non sapendo distinguerne l’origine e la vera natura».

La Prefettura ha fatto sapere che dallo scorso 11 marzo al 31 dicembre, nei 41 comuni della Città Metropolitana, le forze dell’ordine hanno controllato 651.364 persone, sanzionandone 15.413 per violazione delle regole imposte per limitare la diffusione dei contagi. Negli stessi mesi sono state denunciate 23 persone per violazione della quarantena obbligatoria perché risultate positive al virus. Andremo avanti così ancora per molto?

«La nostra vigilanza continuerà ad essere particolarmente scrupolosa ma nel contempo non smetteremo di tentare, in ogni situazione, un approccio comprensivo e improntato al buonsenso. Non vogliamo avere un atteggiamento repressivo. Siamo convinti che nella richiesta di attenersi alle prescrizioni imposte dal decreto anti Covid ci sono ragioni che tutti i cittadini possono non solo comprendere, ma anche condividere a tutela della propria salute e di quella del prossimo. Indossare la mascherina, mantenere le distanza di sicurezza, adottare un comportamento improntato alla prudenza non è poi così difficile. Sotto questo aspetto sono i ragazzi i più refrattari perché si sentono invincibili. A volte basta ricordare loro che a casa ad attenderli ci sono persone adulte e più esposte all’infezione come i genitori o i nonni. Poi dobbiamo però fare i conti con il positivo che se ne va a zonzo, a volte anche ubriaco, con gli assembramenti nei circoli ricreativi o nelle feste private e allora dobbiamo ricorrere alla sanzione. Capita che coloro che vengono verbalizzati abbiano reazioni stizzite, che si avvicinano pericolosamente all’oltraggio. La maggior parte non va oltre l’eccesso verbale, che può essere anche tollerato se la situazione non degenera. Si sono verificate però numerose aggressioni, delle violenze da parte di soggetti per lo più legati ad ambienti criminali, che hanno portato a denunce e arresti».

L’Organismo permanente di monitoraggio ed analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso ha confermato il timore che sia in atto un tentativo da parte delle mafie di accedere illecitamente alle misure di sostegno all’economia. Un pericolo che state percependo?

«Uno scenario che almeno fino ad oggi non si è concretizzato. Il livello di guardia è altissimo. Siamo pronti a captare ogni tipo di segnale ma non abbiamo risultanze, nessun elemento che ci spinga a ipotizzare un inserimento della mala barese nelle procedure di assegnazioni dei fondi comunitari. Stiamo monitorando anche le procedure attraverso le quali sono stati concessi i ristori a coloro che li hanno richiesti».

L’opinione pubblica è stata colpita dal destino di due fratelli gemelli, due carabinieri, entrambi marescialli, tutti e due morti a causa del Covid-19. Nicola Sansipersico scomparso a Voghera a fine marzo dopo essere risultato positivo al virus. Stessa sorte a dicembre per il fratello Michelangelo che faceva servizio a Bari. L’Arma ha pagato un tributo pesante nella guerra al Sars-Cov-2

«Apriamo un capitolo doloroso. Lo è ancora di più nel mio caso perché ho avuto alle mie dipendenze entrambi i fratelli Sansipersico, il primo mentre facevamo insieme servizio a Pavia e il secondo qui a Bari. Abbiamo avuto intere caserme che siamo stati costretti a sanificare immediatamente, senza però interrompere il servizio al cittadino che è stato comunque garantito sempre ricorrendo anche a Stazioni Mobili. Non ricordo più quanti sono finiti in terapia intensiva. Alcuni di loro hanno combattuto per giorni contro la morte. Le porto l’esempio di un collega che è stato ricoverato con la moglie, lasciando i figli di 14 e 10 anni da soli a casa durante le lunghe settimane di lockdown. Il nostro cappellano, don Antonio Cassano, e altri colleghi sono rimasti in costante contatto con i ragazzi ai quali abbiamo portato i generi di necessità. Abbiamo creato delle catene di solidarietà per assistere i familiari di altri carabinieri finiti in isolamento, lì dove non erano in grado i loro parenti. La mobilitazione è stata totale ».

fonte: Luca Natile – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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