Corruzione, un patto tra De Benedictis e Chiariello per i clan: ecco perché giudice e avvocato sono accusati anche di mafia

I pubblici ministeri leccesi Roberta Licci e Alessandro Prontera hanno chiesto la condanna del magistrato, del penalista e di altre cinque persone per corruzione in atti giudiziari aggravata dall’aver agevolato l’attività mafiosa – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

“I clan contavano sul patto corruttivo fra il giudice Giuseppe De Benedictis e l’avvocato Giancarlo Chiariello“: è uno dei passaggi della requisitoria con cui i pubblici ministeri leccesi Roberta Licci e Alessandro Prontera hanno chiesto la condanna del magistrato, del penalista e di altre cinque persone per corruzione in atti giudiziari aggravata dall’aver agevolato l’attività mafiosa.

Il verbale delle due udienze in cui i magistrati hanno spiegato le ipotesi accusatorie è stato depositato pochi giorni fa e i difensori lo stanno studiando in vista delle ultime arringhe, che si terranno il 22 e il 29 marzo (giorno in cui è prevista anche la sentenza). Per De Benedictis è stata chiesta la condanna a otto anni e nove mesi, otto anni e cinque mesi per l’avvocato Giancarlo Chiariello. L’assoluzione è stata chiesta soltanto per l’avvocato foggiano Michele Pio Gianquitto. Quattro anni sono stati invece sollecitati per il figlio dell’avvocato Chiariello, Alberto (penalista anche lui), e lo stesso per la collaboratrice di studio Marianna Casadibari.

Tre anni e otto mesi per i tre pregiudicati (Roberto Dello Russo, Antonio Ippedico e Danilo Della Malva, quest’ultimo oggi collaboratore di giustizia) che sarebbero stati favoriti da De Benedictis con provvedimenti di scarcerazione. Tutti sono giudicati con il rito abbreviato, dopo che De Benedictis e Chiariello hanno inutilmente cercato di trovare un punto di incontro con la Procura per patteggiare la pena.

L’accordo corruttivo

Gli inquirenti salentini sono andati giù pesanti, convinti che dopo gli interrogatori sia emerso un quadro ancora più allarmante delle modalità con cui sarebbe stato gestito un pezzo di giustizia nel tribunale di Bari. A loro dire alla base dell’accordo corruttivo fra il giudice e il penalista c’era “una motivazione economica sicuramente forte per il gip e la volontà di accreditamento del proprio ruolo davanti ai clan da parte dell’avvocato, per aumentare i propri introiti economici”. Una tesi che fa il paio con quella della Procura di Bari, che ha ottenuto il sequestro di 10 milioni di euro indagando su presunti reati fiscali commessi da Chiariello, che avrebbe percepito compensi milionari in nero omettendo di versare Iva per 4,2 milioni e Irpef per 6,6 in sei anni.

Le rivelazioni

Che l’avvocato fosse uno dei più quotati di Bari lo sapevano anche le pietre, del resto, sia negli ambienti giudiziari sia in quelli criminali. “Garantiva il risultato”, ha spiegato il pentito Domenico Milella, e per questo gli uomini dei clan erano disposti a pagare onorari molto esosi, soprattutto per le scarcerazioni: “La cosa principale per noi è avere gli arresti domiciliari”. Questo perché – ha ragionato la Procura della Repubblica di Lecce – per i mafiosi è fondamentale “essere restituiti al territorio di appartenenza”. E questo avrebbero garantito Chiariello e De Benedictis lavorando in tandem, ragion per cui i pm insistono nella contestazione dell’aggravante. Evidenziando come la gip Giulia Proto – che ha disposto le misure cautelari ritenendo insussistente l’aggravante mafiosa – non abbia tenuto conto della complessità della situazione svelata dalle indagini dei carabinieri di Bari e anche delle più recenti sentenze della Cassazione. “L’agevolazione non può essere intesa come mero favoreggiamento – ha spiegato la pm Licci – ma come capacità di apportare un vantaggio umano e sostanziale all’associazione”. Cosa che si sarebbe verificata nel caso di specie, quando grazie ai provvedimenti dell’allora gip De Benedictis sono tornati a casa Danilo Della Malva, punto di riferimento della mafia viestana; Roberto Dello Russo, “fonte principale di approvvigionamento di stupefacente di molti gruppi”; “Antonio Ippedico, che è l’anello di congiunzione con i colletti bianchi” e “Gianquitto, che dà copertura all’attività economico-imprenditoriale”.

Gli altri avvocati

In questa prospettiva il pm Alessandro Prontera ha evidenziato i ruoli di compartecipazione svolti dal figlio del penalista, Alberto Chiariello, e dalla sua storica collaboratrice Marianna Casadibari, che “per lui era come una figlia e nutriva nei suoi confronti assoluta devozione”. Per questo il pm afferma di non credere alla loro “vulnerabilità e inconsapevolezza”, alla luce della “disponibilità incondizionata data al dominus Chiariello”. Quello che lo stesso magistrato definisce “un mediatore faccendiere” e che sarebbe stato scelto dagli uomini dei clan “perché era uno che parlava con il giudice”, come hanno raccontato i collaboratori di giustizia.

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