“Col giudice Nardi in Vaticano, conto allo IOR e amici influenti”

fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Michele Nardi andava spesso in Vaticano, perché frequentava la banca dello IOR, e qualche volta l’ho accompagnato pure. Lui aveva fatto un’indagine su un istituto di Roma, che era della Chiesa, aveva fatto una perquisizione, c’era stato uno scontro con il cardinal Bertone poi ne aveva tutti i benefici di questa cosa“; le amicizie importanti del magistrato Michele Nardi sono state rivelate dall’imprenditore di Corato Flavio D’Introno, che il 13 e il 16 maggio è stato ascoltato dal gip Giovanni Gallo nell’incidente probatorio.

L’inchiesta e quella che il 14 gennaio ha portato in carcere – con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari – l’ex gip di Trani Michele Nardi, il poliziotto Vincenzo De Chiaro e l’ex pm Antonio Savasta. Quest’ultimo è stato scarcerato a marzo, dopo la confessione sarà ascoltato pure lui in un incidente probatorio ancora da calendarizzare. Per ora sono state messe nero su bianco le parole di D’Introno, che ha confermato le accuse ai magistrati che avrebbero gestito la tangentopoli tranese, e ha aggiunto ulteriori particolari. L’imprenditore ha spiegato di avere consegnato mazzette a Nardi, Savasta e al pm Luigi Scimè (all’epoca a Trani, oggi in servizio a Salerno), anche se in misura diversa. Al giudice sarebbe andata Ia fetta più grossa della torta – con denaro, una parte del quale finita alto lor, ma anche con gioielli e un orologio d’oro – e non è un caso che il procuratore di Lecce Leonardo Leone de Castris e la pm Roberta Licci lo considerano il “capo promotore” dell’associazione che vendeva indagini e sentenze. Del resto, anche il ritratto che di Nardi fa il tribunale del riesame – nel provvedimento con cui a febbraio ha rigettato la richiesta di arresti domiciliari e confermato il carcere – e a tinte fosche.

Perché dipinge un magistrato che girava con mazzette di soldi nella tasca della giacca e si proponeva a imprenditori facoltosi per “consulenze giuridiche”. Individuava i polli da spennare. – come Flavio D’Introno ma anche Paolo Tarantini, titolare di un’agenzia di viaggi – e da loro si faceva pagare con denaro e vacanze. “Si tratta di una personaltà del tutto inaffidabile – ha scritto il giudice Silvio Piccinno – capace di qualsiasi reato, idoneo al raggiungimento dei propri scopi“. E tale constatazione diventa ancora più grave se si considera che si tratta di “un uomo delle istituzioni, che ha prestato un giuramento che lo vincolava alla stretta osservanza delle leggi“. Con quelle venti pagine di motivazione, il Riesame ha sposato in pieno la ricostruzione fatta dalla procura e avvalorata dal gip.

Al giudice Gallo tocca ora gestire la difficile partita dell’incidente probatorio, che il 28 maggio proseguirà con il controesame di D’Introno da parte degli avvocati degli indagati. Tutti molto agguerriti e pronti a cercare di minare la credibilità di quello che è stato il principale testimone della procura di Lecce ma ormai non è più l’unico. Dopo D’Introno saranno ascoltati con la stessa modalità, il pm Savasta e il poliziotto Di Chiaro. Anche loro saranno chiamati a riferire sul ruolo svolto da Nardi nella gestione del mercato degli atti giudiziari, che avrebbe consentito ai magistrati di mettere da parte un discreto tesoretto. A quanta ammonti e difficile dirlo, considerato anche la recente rivelazione sul fatto che una parte del denaro di Nardi sarebbe finita nella banca del Vaticano, dove la giustizia italiana non può effettuare verifiche. Nello Ior, del resto, ci sono pochissimi conti intestati a cittadini italiani e uno di questi e proprio quello del giudice Nardi, che da sostituto procuratore di Roma, nel 2012, indagò sul crack milionario dell’Idi, l’Istituto dermopatico dell’Immacolata. All’epoca, quell’inchiesta portò a perquisizioni e sequestri nei confronti di prelati e persone vicine alla congregazione dei figli dell’immacolata Concezione, che gestisce l’istituto. Ma consentì anche a Nardi di stringere rapporti con importanti personaggi del mondo ecclesiastico. Rapporti forse troppo stretti, al punto da diventare sospetti e far finire il caso all’attenzione della Procura di Perugia, competente per i reati commessi da magistrati in servizio a Roma.

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