In cerca di mia madre nonostante la burocrazia

1459672492153.jpg--maria_patruno_celestini

                                 Maria Patruno Celestini

di CARMELA FORMICOLA – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Ci sono fantasmi con i quali Maria ha imparato a convivere. Non sono quelli i suoi «nemici». Il fantasma di un abbandono, in fin dei conti, puoi riuscire a domarlo, a ridimensionarlo, perfino ad accoglierlo. Ma nemici come il «tempo» e la «burocrazia», quelli no, non li hai dentro, sono fuori, spesso imbattibili. Ma Maria è una donna determinata. E la battaglia l’ha cominciata per vincerla. Battaglia? Chiamiamola, piuttosto, bisogno, desiderio di radici. Di appartenenza. Così, dal 2009, si è messa in viaggio in cerca di sua madre, la sua madre biologica, la donna che partorì poco dopo le 11 del mattino, il 7 settembre 1965, nella clinica privata Margherita, del dottor Nicola Lisco, nel rione San Pasquale. Primo problema: la clinica non c’è più, chiusa probabilmente negli anni Settanta, probabilmente a causa del suicidio del suo direttore.

L’OBLIO – «Recuperare notizie è un’impresa. Trovare qualcuno che possa testimoniare di quegli anni è quasi impossibile. E la legge sembra un sadico ostacolo», spiega Maria Patruno Celestini seduta al tavolino di un bar in una piazza assolata. Patruno è il cognome dei suoi genitori adottivi, che a 7 mesi di vita la presero tra le braccia nell’Istituto provinciale per l’infanzia di via Amendola, dove era stata sistemata nel frattempo. Celestini è il cognome (chiamiamolo «di fantasia») con il quale fu registrata all’anagrafe.
Furono proprio i suoi genitori adottivi a chiarirle la sua origine. «Ero bambina e alcuni dei miei coetanei continuavano a dirmi: “Ah, tu sei stata in galera. Tu vieni dalla galera” (si sa quanto possano essere spietati i bambini, ndr). Insomma, andai da mia madre e le chiesi: “Ma perché mi dicono che sono stata in galera?”. E da lì nacque tutto, conobbi la mia storia. Insieme, un giorno, con mio padre e mia madre, andammo all’Ippai di via Amendola, quando ancora ospitava i bambini: me li ricordo ancora, nei corridoi. Qualcuno con un piccolo orinale in mano».

Genitori meravigliosi, quelli di Maria. Suo padre lavorava alla Ferriera di Giovinazzo. «Ma se ne è andato troppo presto, avevo 18 anni: quel giorno lo ricordo come se mi avessero strappato un pezzo di me stessa». Sua madre casalinga, è morta nel 2009, a 89 anni. «Alla fine lei era la figlia e io la madre. Poco prima che se ne andasse le chiesi: ti dispiace se mi metto a cercare la donna che mi ha partorito? E lei disse di no, che anche lei avrebbe voluto conoscerla, per ringraziarla, perché mi aveva messa al mondo». Ma anche l’Istituto provinciale per l’infanzia nel frattempo ha chiuso i battenti. Dunque: dove cercare le carte, le tracce, le persone che possano dire a Maria chi è sua madre?

TEMPO PERDUTO – Il primo nemico è il tempo. Perché questa donna – sembra cinico dirlo – potrebbe avere un’età per la quale ogni giorno perduto è un’occasione che va via per sempre. Il «tempo» è anche ispiratore di una legge paradossale, la cosiddetta «legge dei 100 anni» quella che prevede la necessità del decorso di 100 anni per poter accedere alla documentazione contenente i dati identificativi della madre biologica. Cento anni significa che qualora la si trovasse, la donna sarebbe indubbiamente morta. Ecco perché il Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche, di cui è presidente Anna Arecchia, si batte come un leone per modificare una norma figlia della notte dei tempi.

In verità, la storia di Maria, la sua disperata ricerca, il suo bussare, chiedere, frugare, riconsegna la solita ragnatela di leggi cieche, pensate per garantire gli uni a danno degli altri. La legge sancisce l’anonimato, il diritto alla privacy, delle donne (in generale dei genitori) che abbiano deciso di non riconoscere il proprio figlio ed ignora totalmente il bisogno di conoscenza del figlio. «Sarebbe molto più giusto individuare una sorta di figura terza che facesse da mediatore tra il figlio che cerca il suo genitore biologico e lo stesso genitore – teorizza Maria – A distanza di tanti anni, magari, le motivazioni che portarono a non riconoscere il proprio figlio sono cambiate. Molte volte mi domando se oggi mia madre biologica non stia a sua volta cercandomi».

COME CAMBIARE LA LEGGE – L’idea, semplice semplice: chi è in cerca delle sue origini biologiche potrebbe rivolgersi a qualcuno che conservi il «fascicolo» della sua nascita, questo qualcuno potrebbe privatamente interpellare il genitore biologico e chiedergli: vuoi conoscere tuo figlio dopo tutti questi anni? In caso affermativo, si procede, altrimenti la privacy torna a regnare sovrana. Ma questa è fantasia. I vincoli di legge sono ferrei. E la burocrazia, come al solito, dà il meglio di sè. Perché Maria ha chiesto da tempo di poter recuperare le «carte» della sua nascita. Nessuno le ha detto di no. Ma le carte ancora non si trovano.
«Ogni volta devo andare a Bari (Maria vive a Molfetta, ndr) per recuperare un certificato, un estratto, un documento che poi devo allegare a un altro documento da spedire a un altro ufficio in attesa che la mia istanza venga accolta e queste benedette carte mi vengano consegnate». L’ultima volta le è stato detto in un ufficio della Città Metropolitana (che ha ereditato la competenza dalla Provincia) che si era in attesa del fascicolo custodito da una società di servizi di Modugno addetta alla gestione degli archivi di enti pubblici. Sono passati circa tre mesi. E delle «carte» ancora nessuna traccia (e sono depositate a Modugno, chissà se fossero in custodia a Bergamo: potrebbe passare anche un secolo). Ma Maria, informalmente, è riuscita a sapere molte più cose di quante, probabilmente, non siano contenute nelle carte. «Mia madre era presumibilmente molto giovane, avvocato lei o forse qualcuno della sua famiglia, famiglia benestante, partorì a pagamento nella clinica Margherita».

L’APPELLO – Fotografa sensibile e introspettiva, artista a tutto tondo (dopo l’esperienza in teatro ha trovato anche il modo di dedicarsi alla scultura), Maria Patruno Celestini ha compreso di aver imboccato una strada in salita. Per questo lancia il suo appello, dalle colonne della Gazzetta, a chiunque possa aiutarla a ricostruire l’identikit di questa donna che 50 anni fa, a Bari, in una clinica privata, era probabilmente costretta (dagli eventi, dalle persone, dalle circostanze, dalla società) ad abbandonare la sua bambina. «Ci vuole un’energia pazzesca – sospira Maria – , nessuno ti aiuta, la burocrazia ti uccide. Ma io insisto, spero. Attendo».

Utilizzando il sito o eseguendo lo scroll della pagina accetti l'utilizzo dei cookie della piattaforma. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Altervista Advertising (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Advertising è un servizio di advertising fornito da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258859 Altervista Platform (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Platform è una piattaforma fornita da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. che consente al Titolare di sviluppare, far funzionare ed ospitare questa Applicazione. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258716

Chiudi