Carnicella, veleni e misteri. Un delitto senza movente

 
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Non solo “Reset”, l’operazione che nel ’96 chiuse le filiali dello spaccio molfettese (perché la città adriatica, negli anni ’90, era diventata meta di tossicodipendenti provenienti da Basilicata, Molise e Marche), ma anche il delitto di Gianni Carnicella, il sindaco ucciso nel ’92, pochi mesi dopo la disarticolazione dei gruppi Annacondia e Cannito.

È ruotata attorno a questi due avvenimenti la lectio magistralis tenuta dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, «molfettese, nativo di via Madonna dei Martiri» e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ieri sera nella Fabbrica di San Domenico in un incontro organizzato da Libera. «Il 1 ottobre 1991 arrestammo Salvatore Annacondia – ricorda Drago -, il 19 gennaio 1992 i fratelli Cosimo e Giuseppe Cannito, mentre il 7 luglio 1992 fu assassinato Gianni Carnicella».

Carnicella, sindaco da poco più di un mese di Molfetta, fu assassinato da Cristoforo Brattoli, un impresario al quale il Comune aveva negato il permesso per fare un concerto con Nino D’Angelo, organizzato dallo stesso Brattoli in società con alcune persone (Drago ne cita alcune: Alfredo Fiore, Tommaso Racanati e Cosimo Fiore), tra le quali alcuni esponenti della malavita organizzata locale, attivi nello spaccio e nel traffico di droga e arrestati proprio nel corso dell’operazione “Reset”.

Un motivo futile per sparare e per uccidere. «Il concerto negato non fu il movente di quell’omicidio, fu solo il pretesto», ha evidenziato Drago. Una versione alla quale non ha mai creduto nemmeno Anna Carnicella, sorella di Gianni. «Non ho mai creduto alla questione del permesso negato per il concerto. – si legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno del lontano 21 agosto 2011 -. Nessuno tra noi ha mai creduto a questo movente. Ci sono questioni più sporche che ancora non sono venute a galla».

«È un movente sproporzionato per un delitto del genere – ha detto ancora Drago -. Brattoli fu subornato psicologicamente da chi aveva serie motivazioni per far sparire Carnicella. Gli interessi erano loschi, da parte di una criminalità organizzata che iniziava ad espandersi anche a Molfetta», proprio pochi mesi dopo la disarticolazione dei gruppi Annacondia e Cannito, attivi nell’attuale sesta provincia. Secondo Drago «nel ’92 trovarono il pollo e lo mandarono a sparare per le loro mire espansionistiche».

Infine un appello rivolto allo stesso Brattoli: «Se vuol parlare, piuttosto che affiggere manifesti in città, si rivolga alla magistratura: troverà orecchie attente a raccogliere la sua versione».

Una risposta importante arrivò all’alba dell’8 ottobre ’96 con l’operazione “Reset”, grazie alla richiesta d’aiuto dell’allora primo cittadino Guglielmo Minervini, «che voleva rilanciare il tessuto produttivo della città, ostacolato da una immagine di tipo negativo e da insicurezza» e dalle indagini condotte, a partire dal ’95, dall’allora pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, Michele Emiliano, «che prese di petto la realtà molfettese ed a cui Molfetta deve gratitudine».

«In soli tre giorni di riprese – ha ricordato Drago – documentammo decine di transazioni di stupefacenti, interessi che armarono l’assassino di Carnicella. Che morì anche perché fu lasciato solo. Ma il suo sacrificio non fu inutile perché provocò la reazione della città, delle forze dell’ordine e della magistratura. Le infiltrazioni mafiose si combattono solo con la reazione della società civile».

Ma a Molfetta, adesso, continua a crescere e resistere il potere delle vecchie famiglie, negli anni ’90 dedite al narcotraffico e successivamente decapitate con l’operazione “Reset”, oppure le stesse famiglie, seppur autonome e indipendenti si riconoscono nei clan baresi ed a loro versano i loro tributi, riconoscono la “spartenza”? «Al momento non abbiamo avvisaglie di gruppi criminali baresi su Molfetta», ha tagliato corto Drago.

«A Molfetta c’è solo una quota fisiologica di criminalità comune – ha concluso -. A dire il vero, ci allarmò l’assassinio di Alfredo Fiore, ma lì dovrebbe trattarsi di questioni di famiglia». Insomma permessi negati, questioni di famiglia e piste passionali. Ma sempre motivazioni futili, troppo futili, per sparare e per uccidere.

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