Capristo e quel “patto col diavolo” per la carriera: nei verbali di Amara le nuove accuse all’ex procuratore

Le dichiarazioni dell’avvocato siciliano ricostruiscono il sistema che avrebbe influenzato le nomine dei vertici giudiziari – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

“Paradiso e Capristo hanno fatto carte false per raggiungere la posizione di Procura… Paradiso ha certamente un sistema di relazioni importanti. Io contatti diretti con Capristo non ne avevo, passavo sempre da Paradiso”: nei verbali dell’avvocato Piero Amara c’è il racconto di una serie di relazioni che negli anni fra il 2014 e il 2017 si sono dipanate fra Roma, Trani e Taranto e c’è la conferma di quello che la Procura della Repubblica di Potenza ha ipotizzato nell’ordinanza del 13 giugno: che il poliziotto Filippo Paradiso (materano da anni residente a Modugno) abbia usato la sua influenza per agevolare la nomina di Carlo Capristo a procuratore di Taranto.

A detta di Amara era legatissimo al procuratore e a politici di spessore come la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. “Quando nel 2013 mi trasferii dalla Sicilia, un generale me lo presentò dicendo “lui conosce mezza Romà e dopo sono stato invitato in contesti in cui c’era il gotha delle istituzioni, generali, gente dei Servizi”. La tesi dell’influenza esercitata da Paradiso per la nomina di Capristo pare essere stata condivisa anche dal tribunale del Riesame, che ha rigettato l’istanza di scarcerazione, così così come la richiesta di revoca dei domiciliari presentata dall’avvocato Giacomo Ragno.

Il patto col diavolo

I legami fra i personaggi dell’inchiesta lucana in alcuni casi potrebbero essere stati una pura attività di lobbing, mentre per i pm sottintendevano rapporti di corruzione. Se nell’interrogatorio del 16 giugno l’avvocato siciliano abbia detto ciò che i magistrati volevano sentirsi dire per alleggerire la sua posizione o abbia fornito reali spunti investigativi, è presto per dirlo. Di certo, con le sue dichiarazioni ha ottenuto la revoca della custodia in carcere e ha sparato a zero contro Capristo rendendo la sua posizione ancora più complicata. “Non ho alcuna intenzione di difenderlo, anzi”, ha detto mettendo in fila nomi e date e ricordando le due cene organizzate nel 2015 nella sua casa romana per mettere il magistrato in contatto con politici e faccendieri vicini all’Ilva, tra cui Nicola Nicoletti.

“Capristo sapeva che faceva un patto con il diavolo nel momento in cui entrava là dentro – ha riferito Amara – È chiaro che nel momento in cui tu vieni, manifesti una tua disponibilità. Succede che magistrati partecipino a cene per arrivare a qualche obiettivo. Nel suo caso è nei fatti: lui ha stipulato un rapporto molto forte con l’Ilva”. L’avvocato ha confermato di avere fatto incontrare l’allora procuratore di Trani con Denis Verdini (all’epoca senatore di Forza Italia) e con Luca Lotti (ministro dello Sport).

Alle domande del gip di Potenza sull’interesse di Verdini a portare Capristo a Taranto, Amara ha risposto: “Non era la nomina di Capristo in quanto tale, all’epoca funzionava così per le sedi giudiziarie più importanti. C’erano magistrati che non volevano incontrare politici e magistrati, non soltanto Capristo, che incontravano anche il netturbino”. E ricontestualizzando la nomina di Capristo a Taranto: “L’interesse di Lotti e Verdini era mettere persone di loro fiducia a Firenze [….] Il Pd pugliese, invece, voleva portare Capristo a Taranto”.

La guerra nel Pd

In questi giochi di potere, e nelle guerre tra le correnti dello stesso partito, Amara fa rientrare anche la mancata nomina di Capristo alla Procura generale di Bari. Che per un certo periodo sembrava cosa fatta, tanto che era stata anche organizzata una festa per il giorno in cui avrebbe dovuto essere ufficializzata. Il Csm, però, al suo posto scelse l’attuale procuratrice Anna Maria Tosto: “Lui perse perché andarono a pareggio con una donna e in quel caso Lotti si mise di traverso”.

Anche per la nomina a Firenze sarebbe stato l’ex ministro a mettere il veto, dicendo di persona a Capristo: “Però lei a me mi chiede favori di giorno, mentre di notte mi fa sparare dai suoi amici”. Il riferimento, secondo quanto ha raccontato Amara, era all’ex ministro Francesco Boccia. Ma anche sul punto la Procura di Potenza ha molta strada da fare. Perché se è vero che Amara ha fornito molto materiale, è altrettanto vero che la sua collaborazione con le Procure di Roma, Milano e Perugia viene letta da qualcuno come un tentativo di tirare più gente possibile nel mucchio per salvarsi.

Il caso Matera

Davanti ai magistrati di Potenza, Amara ha poi aperto il capitolo Matera con il racconto della richiesta che gli avrebbe fatto il procuratore Pietro Argentino, fino al 2017 procuratore aggiunto di Taranto, dove si era occupato della vicenda Ilva. L’avvocato siciliano ha affermato che pressioni per assumere il figlio avvocato di Argentino gli sarebbero arrivate sia dal poliziotto Filippo Paradiso sia dall’avvocato Angelo Loreto e che a quelle aveva cercato di non dare seguito: “Ne parlavo con Peppe Calafiore (suo socio), ma per noi sarebbe stato un costo”.

La richiesta, però, a un certo punto sarebbe arrivata dal procuratore in persona: “Argentino me lo ha chiesto in Procura di assumere suo figlio e io l’ho assunto. Ma secondo lei l’ho assunto per fare un favore all’Ilva? Come si fa a dire no a un procuratore…”. Sulla vicenda Argentino, nel corso dell’interrogatorio sia il gip Amodeo sia il procuratore Curcio non sono andati a fondo perché l’attuale incarico rivestito dal magistrato a Matera, semmai venissero ravvisate a suo carico ipotesi di reato, imporrebbe la trasmissione degli atti alla Procura di Catanzaro. E aggiungerebbe un ulteriore tassello al grande puzzle che le Procure della Repubblica di mezza Italia stanno costruendo sulla scorta delle dichiarazioni di Amara.

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