
Tanti episodi in pochi giorni: il video prima del processo per il delitto degli chalet, filmati contro i pentiti di Arzano, i post sulle bombe di Ponticelli – fonte: Dario del Porto – napoli.repubblica.it
Obiettivi e contenuti sono spesso diversi, ma la camorra viaggia sempre più sui social. «TikTok è la vetrina delle mafie», avverte il procuratore Nicola Gratteri. Non è solo questione di semplice vanità oppure di esibizionismo.
«Si fanno vedere ricchi, firmati, con tanti soldi e dicono “noi siamo il nuovo modello, vuoi diventare come noi?”», spiega il capo dei pm del Centro direzionale intervistato a “Timeline” su Rai 3. E sottolinea: «I giovani non strutturati si trovano avviluppati e pensano che quello sia il loro futuro. I social per i mafiosi sono una sfida alle istituzioni, un’esternazione di arroganza».

Le cronache degli ultimi giorni confermano che il fenomeno è in rapida espansione. Il caso più recente è quello di Giuseppina Valda, la sorella del ventenne accusato di aver ucciso un anno fa agli chalet di Mergellina l’incolpevole pizzaiolo Francesco Pio Maimone.
La ragazza, a sua volta imputata nello stesso processo per aver riaccompagnato il fratello armato dopo l’omicidio, pur essendo agli arresti domiciliari aveva pubblicato alla vigilia dell’udienza un video accompagnato dalla voce di un rapper che inneggiava alla mafia. Giuseppina Valda ha pagato la violazione con un’ordinanza che l’ha fatta finire in carcere.
Questo episodio ha spinto il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesco Emilio Borrelli, sempre attentissimo nel monitoraggio del web, a portare due giorni dopo la questione addirittura in Parlamento contestando che la piattaforma, fino a quel momento, non aveva ancora rimosso il video di Giuseppina Valda. «Purtroppo, TikTok diventa sempre più il megafono della criminalità e la passerella dove sfilano camorristi e assassini», aveva affermato Borrelli.
Qualche giorno fa, il deputato ha segnalato filmati social che prendevano di mira due collaboratori di giustizia fuoriusciti dal potente clan della 167 di Arzano, Mariano Alberto Vasapollo, considerato ex killer del clan, e Pasquale Cristiano, a lungo uno dei capi dell’organizzazione. In rete sono da sempre molto attivi i rampolli dei clan della periferia orientale di Napoli.
In un un video pubblicato un mese fa su TikTok viene elogiato un boss con frasi come “Ti amo, zio. Sarai la leggenda di Ponticelli”, in uno scenario dove, tra champagne e banconote, tatuaggi e moto di grossa cilindrata, vengono esaltati attentati commessi a colpi di bombe contro le cosche rivali.
Nel suo ufficio all’ottavo piano del grattacielo del Centro direzionale, il procuratore Gratteri osserva con sempre maggiore interesse il fenomeno. Con le dichiarazioni di ieri ha riproposto l’allarme che aveva lanciato nei giorni scorsi ai microfoni della trasmissione radiofonica “Ping Pong”, quando aveva rimarcato: «I giovani oggi utilizzano TikTok e Facebook per confezionare clip e mandare messaggi emulativi o di altro tipo, anche attraverso le canzoni neomelodiche, talvolta il rap serve per irretire e mandare messaggi in codice alle altre cosche».
L’attenzione dei magistrati dunque è altissima, non solo perché dall’analisi dei social si possono trarre preziosi spunti investigativi, come collegamenti e amicizie utili a ricostruire l’organigramma di un’organizzazione, ma anche perché attraverso questi canali le cosche possono mettersi in mostra oppure lanciare segnali. Naturalmente non è solo la camorra ad alimentare la rete con messaggi riconducibili a fatti di cronaca.
L’ultima segnalazione del deputato Borrelli è di ieri pomeriggio: dall’account TikTok di un 22enne finito agli arresti domiciliari perché coinvolto nell’inchiesta sui tre ragazzi torturati e seviziati a Benevento è stato postato un video corredato con la scritta “supereremo anche questa ti amo” e un cuoricino. La Procura sannita diretta dal procuratore Aldo Policastro ha avviato accertamenti per capire chi abbia utilizzato l’account.