Bombe sotto il mare e sulla spiaggia quei tuffi da brivido a Capo Teulada

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Un gruppo di bambini gioca con palette e secchiello a pochi metri dalla coda di un razzo conficcato nella sabbia. Una coppia di fidanzati cammina in acqua sfiorando, senza accorgersi, la sagoma di un “suppostone” adagiato sul fondale antistante la battigia: infiliamo la maschera, scendiamo a vedere. È un proiettile da mortaio. Inesploso. Ne conteremo una dozzina, alcuni abbandonati sott’acqua, altri sparsi qua e là vicino a ombrelloni e asciugamani. Gli ordigni più piccoli non misurano meno di mezzo metro. Eccoli lì, roventi sotto il sole, ai piedi delle dune. Pochi quelli squarciati, e dunque già esplosi. Fossero anche, queste bombe, dei «corpi inerti», come si dice in gergo militare, vederle in mezzo ai bagnanti fa impressione.

Non siamo in un campo di Hamas. Nemmeno sulle coste israeliane in tempi di missili. Siamo a Capo Teulada, sud della Sardegna, uno dei tratti di costa più belli dell’isola che da 40 anni, in un’altalena di convenienza reciproca, proteste, compromessi da real politik, “sopporta” il peso di 35mila ettari di terreno coperti da servitù militari. La spiaggia delle bombe si chiama Cala Zafferano. Mare cristallino, sabbia bianca, morbide dune. Sarebbe una normale spiaggia da cartolina se non fosse che la geografia la colloca all’interno della vasta area — 7.500 metri quadrati — della base militare Nato, il Poligono di Teulada. È un campo di addestramento interforze dove dagli anni ‘70 i soldati simulano offensive belliche e piani di difesa, sbarchi e bombardamenti aerei. Un via vai di cacciabombardieri, navi appostate al largo, carriarmato che sganciano razzi e ordigni di ogni tipo.

Le esercitazioni avvengono soprattutto in inverno e sono sottoposte ai rigidi protocolli di sicurezza della Nato. Così fino a febbraio-marzo. Poi arriva la primavera, e poi l’estate e l’estate a Cala Zafferano non porta fregate militari e mezzi cingolati ma barche: motoscafi, gommoni, vele. Benché un’ordinanza stabilisca che la permanenza sulla spiaggia sia vietata, a luglio e agosto un “esercito” di bagnanti la invade senza che nessuno, né militari né amministratori, batta ciglio. Né si curi dei rischi legati alle “bombe inesplose” sfuggite alle bonifiche, pure puntuali, post-esercitazioni. 

La spiaggia è accessibile solo via mare: decine di famiglie la raggiungono ogni giorno. Repubblica racconta ora – ultimo sopralluogo ieri, venerdì primo agosto – la situazione di Cala Zafferano. Foto e video esclusivi mostrano che cosa c’è in questa spiaggia, quali pericoli corra chi la frequenta e l’ambigua anomalia di un pezzo di litorale formalmente vietato ai bagnanti, ma nella pratica frequentatissimo ogni giorno, e nella disponibilità di tutti. “Zona militare, pericolo bombe inesplose”, avvertono i cartelli. Arriviamo in gommone. Appena sbarcati ci imbattiamo in un lungo “tappeto” di ferro bucherellato: è il cingolo di un carroarmato. Arrugginito, è srotolato sulla spiaggia e un padre di famiglia ci ha appoggiato sopra una borsa termica. Ci sono bambini che giocano. Un po’ più in là c’è un’ogiva di mortaio, un fumogeno inesploso nella sua capsula di ferro, proiettili da esercitazione da 4,500 e da 10 chili. Spiega una fonte militare: “Nelle esercitazioni si spara a salve, la carica è dimezzata. Ma se un ordigno dovesse esplodere accanto o sotto i piedi di un bagnante, lo fa a pezzi”.

Nicola ha 9 anni, viene da Cagliari. “Guarda papà!”. Indica una “bombetta di spessore” da 2 kg, si chiamano così. Affonda nella sabbia, spunta solo il collo, tipo una bottiglia tozza. Marrone scuro. Non è il caso di estrarla per capire che è intatta. Vengono i brividi. Cento metri oltre, sempre lungo la spiaggia: ombrelloni e teli. La rada piena di barche. Gente che fa il bagno. Giù in fondo verso gli scogli affiorano altri residuati bellici: un’ogiva in acciaio “fuso forata”. Mancano il tubo e la piastra di base. In teoria è, o era, piena di tritolo e amatolo. Materiale da strage. È tutto talmente in vista che nessuno, men che meno i militari che hanno avvisato coi cartelli, può supporre che qualsiasi avventore di passaggio a Cala Zafferano faccia dell’inutile sensazionalismo. ” È una situazione pericolosissima – dice Elisa Monni, del comitato “Amparu” (“proteggimi”, in sardo) – . Per non parlare dell’uranio delle bombe sganciate nel poligono che ha spappolato i polmoni ai teuladini“. Ciò che non si vede bisogna cercarlo. In mare. Vicino riva. Bastano maschera e boccaglio. Guardi il fondale: dove ancora si tocca. Fossero solo i bossoli da arma da fuoco, ormai verdi perché ossidati. C’è anche una bomba. Grigia, ogiva rossa. Potrebbe essere una S. A. P da 15 kg.

Settantacinque centimetri di lunghezza. Inerte? Quando si è “persa” sul fondale (1,80 cm)? E se esplodesse? Dice la scrittrice Michela Murgia, terza alle ultime elezioni regionali: “Dove terra, cielo e mare sono invasi dalle sparatorie non è possibile esercitare l’agricoltura, la pesca e il turismo in modo da garantire la salute umana. Nessuna compensazione economica ai singoli operatori può essere messa a confronto con la compromissione dei territori. L’unica risposta ai teuladini è la chiusura del poligono e la bonifica dell’area“. Già. Da Roma però arrivano altri segnali. In una specie di valzer dell’equivoco, o forse no, il governo ha rilanciato con 20 milioni di euro per il potenziamento. La regione protesta, ma per denaro sembra disposta a trattare. “La stessa risposta degli ultimi sessant’anni – conclude Murgia – . E i teuladini – 17% di affluenza alle urne – a votare non vanno più”. Per la cronaca: quest’estate, forse per stemperare i malumori degli abitanti, i vertici del poligono hanno lanciato una specie di campagna spiagge (militari) aperte al pubblico. Due. Dal lato opposto di Cala Zafferano. C’è un piantone che sorveglia gli ingressi: parcheggi e vai a fare il bagno. Nella spiaggia degli ordigni no. I soliti cartelli “pericolo bombe inesplose“, anche in inglese. Ultimo tuffo in mezzo alle bombe. Dopo la scogliera. In mezzo a due ali di gommoni, a tre metri di profondità, spunta il siluro: una bestia da 100 kg. Per fortuna ha uno squarcio sulla coda.

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