Blitz in Calabria contro la ‘ndrangheta, l’Udc Cesa indagato per associazione aggravata da mafia

Appalti in cambio di pacchetti di voti. Forniture di dispositivi anti-infortunio – mascherine, caschi, guanti – in cambio di preferenze. E spesso persino una cresta del 5% sulle commesse. Al centro l’Udc, che con il suo segretario regionale, oggi assessore al Bilancio, Francesco Talarico, finito ai domiciliari, e quello nazionale, Lorenzo Cesa, attualmente solo indagato, ha fatto da passe-partout all’imprenditore Antonio Gallo, braccio economico di tutti i clan del crotonese. Politici, imprenditori, boss di primo livello. È una maxi-operazione da 48 arresti – 13 in carcere, 35 ai domiciliari – più un obbligo di firma e un divieto di dimora, quella eseguita oggi su richiesta della procura antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri e per ordine del giudice. Gli uomini della Dia di Maurizio Vallone hanno eseguito arresti, sequestri e perquisizioni in tutta Italia. A Roma, alle prime luci dell’alba hanno perquisito anche la casa di Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc, indagato per associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso.

Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017” conferma il politico con una nota. “Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato” annuncia.

Fulcro dell’indagine, l’imprenditore Antonio Gallo. Il “principino”, lo chiamavano in quegli ambienti. “Il jolly – dice la Dda – in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso non in senso occasionale e intermittente ma organico e continuo”. Ma anche con uomini delle forze dell’ordine come l’ex maresciallo della Guardia di Finanza, Ercolino D’Alessandro, finito in carcere per i rapporti con i clan e per aver “venduto” informazioni riservate in cambio del coinvolgimento del figlio, anche lui arrestato, nella società aperta da Gallo in Albania. “Gallo – spiega il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – è  un imprenditore molto eclettico, che lavorava su più piani e riusciva a muoversi con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ‘ndranghetista doc, o il politico o l’imprenditore. Si muoveva su più piani, perché aveva bisogno di più piani, per creare una sorta di monopolio o almeno oligopolio su un territorio per avere la possibilità di vincere gare truccate per la fornitura di prodotti per la sicurezza sui luoghi di lavoro o attività di pulizia, anche a livello nazionale”. E la politica era fondamentale.

Ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso e voto di scambio è finito invece l’attuale assessore regionale al Bilancio, Francesco Talarico. È lui – gli contesta la Dda – che alle politiche del 2018 ha chiesto e ottenuto supporto elettorale dai clan, garantendo in cambio a Gallo canali, “entrature” e rapporti buoni a “convincere” enti pubblici e società in house ad affidargli appalti e commesse per la fornitura di prodotti antinfortunistici prodotti dalla sua azienda. “Queste cosette, secondo me a Roma pure con questo ragazzo (Gallo ndr) le facciamo…gli passiamo qualche commessa importante” prospettava – intercettato – l’assessore. E allo scopo, fondamentale sarebbe stato il ruolo di Cesa. “Che poi lui gli fa capi… lui (Cesa ndr) gli fa conoscere pure ad uno che è inserito in tutti questi Enti..ci va” continua Talarico. All’epoca Gallo era già indagato come prestanome dei clan, ma questo non ha impedito all’assessore di collezionare incontri, cene, pranzi e accordi con lui. E più volte sono stati visti insieme a Lorenzo Cesa. “Quel pranzo – ha sottolineato Gratteri – non potevamo documentarlo perchè all’epoca – siamo nell’estate 2017 – Cesa era parlamentare. È grazie ad un’intercettazione ambientale che abbiamo capito che Gallo avrebbe dovuto pagare il 5% di provvigione“.

Una rete di relazioni che coinvolgeva anche il consigliere comunale di Catanzaro Tommaso Brutto e il figlio Saverio, perfettamente consapevoli e partecipi di tutti i termini dell’accordo. Quelli economici, un 5% sulle commesse incassate, su cui Talarico contava per “convincere” Cesa ad agevolare l’imprenditore. “Noi – ragiona l’assessore regionale intercettato – vediamo qual è la fornitura in base al discorso… noi sappiamo preciso.. il 5%… Lorè (CESA ndr), questo c’ha il 5%”. E quelli elettorali per le politiche del 2018, quando Talarico era candidato capolista nel collegio uninominale di Reggio Calabria per l’Udc.

A garantirgli appoggio e preferenze per intercessione di Gallo, in primo luogo l’entourage dell’ex senatore Antonio Caridi, che all’imprenditore era tanto vicino da fargli da compare d’anello Lui personalmente non avrebbe potuto. All’epoca era già in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa come politico costruito a tavolino dalla direzione strategica della ‘Ndrangheta per infiltrarsi nelle istituzioni. Ma pienamente operativi rimanevano lo zio, Bruno Porcino, “depositario” secondo i magistrati del suo pacchetto di voti.

Ma su Reggio Calabria, i jolly di Talarico sono stati anche Natale Errigo, imparentato con pezzi da novanta del clan De Stefano-Tegano a Reggio Calabria e attualmente impiegato nella struttura del Commissario straordinario per l’emergenza  Covid-19 e impegnato nella distribuzione di mascherine, dpo e vaccini, e Antonino Pirrello, titolare di impresa di pulizie con commesse in enti pubblici. “Noi siamo  il gruppo… diciamo, che seguiva Antonio (Caridindr) dappertutto, andavamo… cioè per dirne una… andammo anche al compleanno di Berlusconi” si presenta Errigo, che chiarisce subito i termini dell’accordo “Franco noi abbiamo bisogno di dare una mano a uno e poi di avere un riferimento, non possiamo fare le cose nella massima trasparenza” si sente dire a Errigo, che chiarisce subito “è un do ut des”. Stessa richiesta avanzta da Pirrello ““allora guarda Francesco… io non chiedo nè posti di lavoro nè niente, però un minimo di attenzione”. Ancor più esplicito Gallo, che non potendo più contare sul senatore Caridi – dice esplicitamente – è alla ricerca di un sostituto. “Noi ti diamo tutta la mano del mondo, due (mani). Soldi non ce ne servono, che ne abbiamo… grazie a Dio lavoriamo. Però ci serve un referente”.

A parlare è quello che gli inquirenti considerano il terminale economico di tutti i maggiori clan del crotonese, che con l’operazione di oggi hanno visto i loro massimi vertici finire in manette. Il business che gestiva era milionario. Non si trattava solo di vendita di dispositivi anti- infortunio. Il vero “oro” erano le fatture per operazioni inesistenti emesse a raffica da società esistenti solo sulla carta, ma buone per ottenerne il pagamento e retrocedere il denaro alle imprese beneficiarie della frode dietro la corresponsione del 11% dell’imponibile indicato nella fattura. L’inchiesta ha consentito di accertare il prelevamento in contante di 22 milioni di euro, attraverso l’arruolamento da parte dell’organizzazione mafiosa di un folto numero di soggetti prelevatori, vere e proprie “scuderie” in un network complessivo di 159 società fruitrici di fatture per operazioni inesistenti e ben 86 società  “cartiere” emittenti i documenti falsi.

Sotto sequestro sono finiti beni per centinaia di milioni di euro.Un reale recovery fund che deve essere sempre attivo” dice il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra.Un plauso sincero a questo immane sforzo investigativo che, la Commissione Antimafia ha potuto seguire grazie al lavoro del suo ufficiale di collegamento DIA colonello Luigi Grasso” spiega in una nota. “Questi arresti dimostrano che lo Stato non solo è presente ma è anche più forte e tenace“.

fonte: Alessia Candito – www.repubblica.it

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