Birka e Chris morti in un rogo a 2 e 4 anni: “La mamma voleva farli dormire al caldo”

La tragedia nel campo nomadi. La donna, vent’anni, era andata in un bagno fatiscente a poca distanza, quando ha visto da lontano le fiamme salire: mentre i vigili spegnevano il fuoco ha avuto un malore. Il sindaco: “Oggi in Prefettura ma ora la politica nazionale deve darci risposte”. Il terreno su cui sorge il campo abusivo è di un pregiudicato – fonte:Chiara Spagnolo con la collaborazione di Tatiana Bellizzi – bari.repubblica.it

STORNARA – Pagavano per vivere in una baracca di legno, priva di acqua corrente, luce e gas. Questo solo potevano permettersi Marano Dimitrov Denitar e Ghergeva Naidenova – 27 anni lui e 20 lei, entrambi bulgari – con la misera paga del lavoro nei campi: una catapecchia in cui per scaldarsi bisognava bruciare la legna in un bidone. Da quella stufa improvvisata è partito il fuoco che ieri mattina ha divorato i loro due figli, Birka di due anni e Christian di quattro, uccisi nel sonno mentre i genitori erano fuori. Il padre al lavoro, la mamma in un bagno fatiscente a poca distanza, quando ha visto da lontano le fiamme salire da casa sua non ha potuto neanche provare ad entrare e non le è rimasto che pregare.

Il suo sguardo, mentre i vigili del fuoco spegnevano il rogo, era perso nel vuoto, le frasi incomprensibili, il dolore così forte da farla accasciare a terra. Poche ore dopo, insieme al marito, ha dovuto rispondere ai carabinieri, che ne valutano le responsabilità nell’ambito dell’inchiesta della pm Roberta Bray. La possibilità che vengano indagati è più che reale, perché la legge segue una strada diversa da quella del dolore. Così come la burocrazia, finora, ha seguito una via che non è riuscita a trovare soluzione al problema della numerosa comunità bulgara che vive nel foggiano.

Sono stato convocato per domani (oggi, ndr) in prefettura” dice il sindaco di Stornara Rocco Calamita. Ma è ormai troppo tardi. Soprattutto perché l’esistenza di quella bomba a orologeria era stata segnalata tante volte negli anni: “Lettere e riunioni – prosegue Calamita – uno sgombero nel 2018, poi le case di legno erano state ricostruite. Adesso è la politica nazionale che deve darci risposte”. Perché come dimostrano gli esempi dei ghetti degli africani a poca distanza (Borgo Mezzanone e Rignano Garganico), i braccianti vanno dove c’è lavoro e se il lavoro è irregolare e non gli dà abbastanza per vivere non possono che arrangiarsi in campi di fortuna.

Braccianti, operai, facchini: così il lavoro in Italia diventa sfruttamento

In quello di Stornara d’estate vivono circa mille persone, adesso molti nuclei familiari erano tornati in Bulgaria, per ripresentarsi poi a primavera, ma nel campo c’erano almeno cento bambini come Birka e Christian. Nessuno di loro frequenta la scuola, così come gli adulti non frequentano il paese. Qualcuno si è visto solo negli ultimi mesi per le vaccinazioni anti-Covid: “Nessuno l’ha rifiutata – racconta Anelia Genova, mediatrice culturale dell’associazione Solidaunia – dopo che l’anno scorso nel campo c’è stato un focolaio Covid”. La possibilità di ricevere un’assistenza sanitaria altrimenti negata a chi non ha un regolare contratto di lavoro, e che arriva tra le baracche solo di tanto in tanto grazie ai volontari, che trovano dermatiti, problemi intestinali e denti cariati, in una situazione igienico-sanitaria fuori controllo.

Quella dei bulgari è una comunità molto chiusa, in cui è difficile entrare – aggiunge Mohammed Elmajidi della Cisl – Il lavoro è prevalentemente irregolare e vigono forme di caporalato rigide ma non c’è volontà di integrazione“. Vogliono lavorare e basta, questi bulgari che cittadini comunitari lo sono solo sulla carta. Una decina di anni fa avevano creato un campo a poca distanza da Foggia, poi fu sgomberato e a centinaia – tra cui i genitori di Birka e Christian – si trasferirono a Stornara, su quel terreno di proprietà di un pregiudicato. Lì, la mattina del 17 dicembre, sono arrivati carabinieri, vigili del fuoco e anche una squadra della Croce Rossa Italiana per il supporto psicologico alla famiglia dei bimbi morti.

Rosaria, una donna romena che da sei mesi vive nello stesso posto, è stata una delle prime ad arrivare davanti alla baracca quando è scoppiato l’incendio: “Il padre dei bambini era al lavoro, la mamma si era spostata da poco tempo, li aveva lasciati dormire“. La speranza di chi li conosceva è che dal sonno non si siano mai svegliati, perché il fuoco ne ha divorato i corpicini, sui quali si cercherà di effettuare un’autopsia. I loro nomi sono il numero 8 e 9 della lista dei migranti morti in incendi nei ghetti della vergogna pugliese: prima ce n’erano stati quattro a Borgo Mezzanone, due a Rignano, uno nel campo di Foggia. Bulgaro pure lui.

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