foto: http://bari.repubblica.it- di MARA CHIARELLI
Con sette arresti per associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti e detenzione di armi, anche da guerra, è stato decapitato dai carabinieri di Bari il clan Strisciuglio: tre anni di indagini, 12 collaboratori di giustizia, intercettazioni e materiale cartaceo sequestrato al clan, per ricostruire le mosse criminali finalizzate ad imporre la presenza nei quartieri Libertà, San Paolo e San Pio.
I provvedimenti cautelari, emessi dal gip Giovanni Abbattista e richiesti dai pm antimafia Pasquale Drago e Patrizia Rautiis, sono stati notificati a Lorenzo Caldarola (già detenuto), considerato il numero due del clan mafioso, alle dirette dipendenze dei fratelli Strisciuglio (anche loro in carcere), colui al quale si rivolgevano per essere autorizzati a compiere omicidi e altri affari criminali.
Notificato in carcere anche a Saverio Faccilongo, emissario per il quartiere San Pio e detenuto per l’omicidio di Gianluca Corallo, nel febbraio 2016, e a Vito Antonio Catacchio. Erano invece liberi Alessandro Ruta e Vito Valentino, vertici del clan sul quartiere San Paolo, dopo gli arresti di Giuseppe Misceo e Nicola Telegrafo, dotati di elevato potere gestionale. In manette anche Giovanni Faccilongo e Francesco De Marzo.
Dall’inchiesta, svolta dai carabinieri del nucleo investigativo, è emersa una organizzazione piramidale del clan, che gli inquirenti hanno definito come “federazione Strisciuglio“, grazie alla quale veniva esercitata una pressione criminale stratificata su gran parte delle città, sotto forma di spaccio ed estorsioni, arrivando facilmente a sparare per imporre il proprio dominio.
Le dichiarazioni dei pentiti hanno dimostrato come gran parte dell’attività malavitosa si svolgesse all’interno del carcere, dove venivano decise alleanze e business, spartenze e omicidi. I collaboratori di giustizia hanno anche raccontato la frequenza con la quale venivano organizzate affiliazioni, negli appartamenti di Ruta e del super pentito Giuseppe Simeone.
Dai loro racconti, inoltre, sono stati acquisti elementi per attribuire la responsabilità di Alessandro Ruta e Vito Valentino, come mandanti, nel tentato omicidio di Gino Luisi, nell’agguato del 2 maggio 2015, nel quale
perse la vita suo figlio Antonio. Agli atti, fra l’altro, la corrispondenza in entrata e uscita dal carcere di Bari che ha permesso di ricostruire la maxi rissa, avvenuta all’interno del carcere nel gennaio 2016, tra frange dello stesso clan, fino ad allora alleate e da quel momento entrate in guerra.