L’episodio è raccontato agli inquirenti da due testimoni in altrettanti interrogatori: si tratta di Nicolino Antonio e Attilio Lo Gatto, padre e figlio, il primo ex dirigente della congregazione, il secondo dipendente della Ambrosia Technologies s.r.l., uno dei fornitori della Divina Provvidenza. Entrambi al momento della sparata di Azzollini si trovavano nella stanza adiacente a quella in cui il parlamentare ha intimato alle suore di obbedire ai suoi ordini. Per chi indaga ci sono pochi dubbi: le testimonianze sono attendibili anche perché corroborate da tutta un’altra serie di elementi che provano il modus operandi e la strategia del senatore. Che da quel giorno diventa il dominus dell’ente religioso. Tradotto: impone l’ingresso di alcuni uomini fidati ai vertici della struttura (con stipendi da capogiro per le casse disastrate della casa di cura), diventandone “dal 2009 amministratore di fatto”. Insomma: ne è il direttore e lì, nell’ospedale di Bisceglie fondato da don Pasquale Uva, si fa ciò che dice lui. L’obiettivo è chiaro: decidere “assunzioni di personale e scelte di fornitori a lui graditi, al fine di ordire la propria egemonia sull’Ente e dunque di assicurarsi un sicuro bacino di consenso politico-personale“, come scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare con cui hanno chiesto gli arresti domiciliari per il parlamentare del Nuovo centrodestra. L’accusa, pesantissima, parla di associazione a delinquere.

E quella intimidazione (“da oggi in poi comando io, se no vi piscio in bocca”) per chi indaga “inaugura la stagione del potere azzolliniano” sulla struttura. Il disegno è molto semplice. Il senatore fa assumere all’interno della Congregazione tre ‘luogotenenti’ (Angelo Belsito, Rocco Di Terlizzi e in un secondo momento Giuseppe Domenico de Bari), che hanno un unico obiettivo: “Amministrare l’Ente secondo i dettami del politico – scrivono gli inquirenti – controllarne quotidianamente gli affari, pilotare assunzioni e rapporti negoziali, con tanto di trasmissione in anteprima al politico dei principali provvedimenti attinenti la gestione (bilancio, piano di concordato, progetti di esubero del personale, ecc.)”.

Un prezzo da pagare altissimo per la struttura sanitaria. Che però in cambio può contare sul potere squisitamente politico dell’ex sindaco di Molfetta. Che, una volta ottenuta la cogestione della Divina Provvidenza, si mette all’opera. Anche in questo caso le parole di chi indaga spiegano alla perfezione il meccanismo e l’azione di Azzollini, il quale si spende “per assicurare alla Congregazione la proroga legislativa della sospensione degli obblighi fiscali e contributivi, già goduta per effetto dell’art. 1, comma 255, della legge 311 del 2004, e più volte prorogata proprio grazie all’intervento del politico, recentemente per effetto dell’art. 1, comma 314, della legge n. 228 del 24.12.2012 (legge di stabilità 2013), sino al 31.12.2015, e, da ultimo, per effetto dell’art. 1, comma 188, della legge n. 147 del 27.12.2013 (legge di stabilità 2014), sino al 31.12.2016, beneficio in virtù del quale garantiva alla Congregazione un’indebita moratoria fiscale finalizzata a ritardare l’emersione dello stato di dissesto, e, conseguentemente a neutralizzare la richiesta di fallimento dell’Ente avanzata dalla Procura della Repubblica di Trani“. Ciò che succede dopo l’avvento del senatore alla casa di cura lo sintetizza il gip: tra il 2011 e il 2013, “a partire dal momento dell’esproprio di potere da parte del senatore Azzollini e del suo entourage, le assunzioni selvagge di personale alla sede di Bisceglie vennero decise dal politico”.

Azzollini: da oggi comando io…