Allarme clan, Nitti: “Bat depredata, ma questa emergenza per l’Italia non esiste”

Dal procuratore di Trani una durissima nota sulle pressioni della mafia in una provincia, ricorda, che non ha ancora una questura e un comando provinciale di Finanza e carabinieri – di Chiara Spagnolo -bari.repubblica.it

– È la prima provincia italiana per furti d’auto, la terza per omicidi, la quarta per tentati omicidi, fra le prime dieci per rapine nelle abitazioni ed estorsioni. Eppure non ha una questura, un comando provinciale dei carabinieri né della guardia di finanza: la Bat — 383mila abitanti nel quadrilatero che dall’Adriatico sale verso la Murgia — è una provincia «depredata» ma inesistente nell’agenda nazionale delle emergenze criminali. L’allarme è dei più seri, perché a lanciarlo è il procuratore della Repubblica, Renato Nitti, uomo schivo e inquirente riservato che, dopo aver segnalato alle istituzioni nazionali e locali « la straordinarietà della situazione criminale del territorio » ha voluto condividere le sue preoccupanti valutazioni « con la comunità del territorio e l’opinione pubblica » . Probabilmente perché quello che ha visto in un anno alla guida della Procura, dopo una lunga esperienza alla Dda di Bari, è una provincia in cui la criminalità predatoria convive con quella organizzata ma anche con quella «di impresa, contro il lavoro, ambientale e contro la pubblica amministrazione ». Un territorio nel quale « il tessuto economico è vittima ma al tempo stesso percorso da spinte interne verso comportamenti illegali, in tema di reati fallimentari, tributari e societari, che penalizzano le imprese oneste».

La sfiducia nella giustizia

Il livello di infiltrazione è alto, insomma, mentre l’autorità giudiziaria sconta « il vulnus di autorevolezza » legato agli scandali che hanno coinvolto la magistratura: prima l’arresto dell’ex gip Michele Nardi e dell’ex pm Antonio Savasta per le tangenti pagate dagli imprenditori per aggiustare i processi, poi la loro condanna (Nardi a 16 anni e 9 mesi, Savasta a 10), quindi il coinvolgimento nelle indagini di altri ex pm di Trani, come Luigi Scimè (condannato a quattro anni) e Domenico Seccia (tuttora indagato). E, ancora, l’arresto dell’ex procuratore Carlo Maria Capristo nel maggio dell’anno scorso e l’avviso di garanzia al suo successore Antonino Di Maio. E altre indagini attualmente in corso sul Sistema Trani, sempre a raccontare di una giustizia svenduta, piegata a interessi personali, fondamentalmente ingiusta. Questioni che hanno destato scalpore e minato la fiducia dei cittadini nell’autorità giudiziaria: «L’eco degli scandali — ha spiegato Nitti — ha indebolito la difficilissima azione della restante parte della magistratura, il cui impegno risulta così ancora più difficile, scomodo, in perenne debito d’ossigeno, l’ossigeno della credibilità». Questa debolezza — legata alle carenze di organico della polizia giudiziaria e all’assenza dei presidi provinciali di polizia, finanza e carabinieri — non passa inosservata alla criminalità, che quindi non ha paura ad attaccare lo Stato frontalmente. Lo dimostrano gli attentati contro le forze dell’ordine e le istituzioni, messi in atto perché «la scarsa considerazione della capacità di reazione dello Stato, alimenta un diffuso senso di impunità».

I clan predatori

L’analisi è impietosa, dunque, e l’allarme elevato. Volutamente lanciato dal procuratore della Repubblica tramite i giornali per amplificarne al massimo l’eco e far capire anche ai cittadini che non è più il tempo di voltarsi dall’altra parte. Perché i numeri raccontano di una provincia che è agli ultimi posti nelle classifiche nazionali sulla qualità della vita e ai primi per l’indice di criminalità. « Una provincia depredata», la chiama il magistrato, « anche delle sue proprie, esclusive, istituzioni di contrasto alla criminalità», con la prefettura che da sola cerca di far sentire la propria voce in una specie di deserto. E polizia, carabinieri, guardia di finanza, costretti a dividere uomini e mezzi con la città di Bari e la sua provincia, più grandi, più popolose e soltanto apparentemente più problematiche. Mentre da Bari e da Foggia continuano ad arrivare gli uomini dei clan, che intrecciano i propri affari con la mafia locale (riconosciuta da più sentenze) e con gli albanesi, aprendo le porte anche a chi viene da altre regioni. E anche sulla tipologia di mafia che si è insediata in questa zona, l’analisi di Nitti è impietosa: « Non esercita il dominio sul territorio ma lo spoglia, lo depreda, portando alle estreme conseguenze la connotazione levantina e lucrativa delle mafie baresi » . Qui non ci sono i boss che vogliono mantenere l’ordine, che dominano il territorio imponendo le regole di un para-Stato, ma soltanto uomini che fanno affari e puntano al guadagno. E non c’è spazio della provincia che resti come un’isola felice. Perché se nelle città si addensano gli interessi legati al traffico di droga e alle estorsioni, le campagne che salgono verso la Murgia sono diventata una sorta di terra di nessuno, in cui «si vedono scene che pensavamo appartenere a tempi lontani » . Nei fondi agricoli, nei boschi, nelle gravine pietrose, l’elenco dei reati è lungo: abigeato, furti e rapine di mezzi agricoli, furti di mezzi tecnici e tendoni delle coltivazioni, estorsioni. A dimostrazione che l’azione predatoria è «così ampia e sistematica da avere un contesto strutturato a monte e una fortissima organizzazione a valle».

Lo Stato debole

E per quanto sia organizzata la criminalità, non altrettanto organizzata appare la risposta delle istituzioni, che negli ultimi decenni hanno puntato a ripulire la provincia di Bari e soprattutto la città e, più di recente, ha concentrato l’attenzione sul foggiano. Per Nitti « c’è stata una sottovalutazione, nel considerare la criminalità della Bat come appendice di quella barese o foggiana » e da questa errata analisi è scaturita la convinzione che « bastasse intervenire su Bari e Foggia per avere benefici nel circondario di Trani » . E invece così non è stato. Perché mentre l’azione repressiva si concentrava più a nord e più a sud, in quei dieci comuni accadeva di tutto nel silenzio generale. E oggi ci si ritrova con un quadro desolante: «L’indice di criminalità organizzata è di 40,9, nell’analisi del ministero dell’Interno, a fronte di una media nazionale del 29,1».

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