Costruire spazi e momenti liberi dal mercato: perché la cultura è quella cosa (ormai l’unica) che non ci fa clienti, spettatori, consumatori, ma cittadini sovrani. Recuperare spazi pubblici inutilizzati, non alienarli e metterli invece a disposizione delle associazioni di cittadini che sanno costruire cultura.
Tenere aperta almeno una biblioteca fino a mezzanotte, tutte le sere.
Non organizzare nemmeno una mostra: ogni volta che viene voglia di farne una, pensare a quanti monumenti del territorio comunale sono chiusi o in pericolo, e provare a salvarne almeno uno, coinvolgendo i cittadini con una campagna di comunicazione.
Costruire la politica culturale ascoltando chi sa cos’è la cultura: cioè chi la produce. Non pensare in termini di appartenenza, ma di competenza.
Investire in ricerca: anche il più piccolo museo civico, se è abitato da un giovane ricercatore, può diventare un luogo di produzione e redistribuzione della conoscenza.
Invitare un giovane artista ad abitare per qualche mese nel territorio comunale, pagandogli l’ospitalità. E chiedendogli di realizzare un’opera d’arte pubblica per la parte più brutta e disagiata del comune: un’opera la cui esatta destinazione e le cui caratteristiche andranno decise almeno in parte attraverso un cammino di partecipazione.
Promuovere e finanziare la costituzione di orchestre giovanili di musica classica nei quartieri più degradati e con maggiori problemi di inclusione.
Assicurarsi che esista almeno un teatro: se c’è, aprirlo a tutti, con agevolazioni, campagne, programmi di collaborazione con le scuole. Se non c’è, farlo.
Diffidare degli eventi, dei festival, delle inaugurazioni, delle una tantum: la cultura ha bisogno di strutture stabili, finanziamenti continui, indipendenza dalla politica, visione lunga e disinteressata.
Praticare la cultura in prima persona: un sindaco che trova il tempo di leggere, ascoltare musica, andare a teatro, conoscere un museo sarà un sindaco migliore. Oltre che un essere umano più compiuto: e, forse, più felice.
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