“Un voto per 25 euro, ma devi mandarmi la foto”: a Bari così hanno truccato le elezioni comunali

Avvisami quando voti, mandami la foto con il timbro… Noi verificheremo se tu veramente hai dato il voto e poi potrai passare dall’ufficio, così contraccambiamo…. “: in decine di messaggi scoperti dai carabinieri sul telefono di Valentina De Giosa – figlia del consigliere del 1° Municipio di Bari Carlo De Giosa, eletto con la lista di centrosinistra Sud al centro grazie a 494 preferenze – c’è sintetizzato il sistema che sarebbe stato utilizzato per truccare una parte delle ultime elezioni amministrative baresi. L’indagine per corruzione elettorale riguarda De Giosa, la figlia ventunenne e 48 elettori, che avrebbero accettato denaro in cambio del voto.

Tutti, nello scorso ottobre hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal pm Claudio Pinto al termine delle indagini dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria. In quell’atto è contestata la violazione dell’articolo 86 del Dpr 570 del 1960, che punisce il candidato che offre “denaro o altre utilità” ma anche l’elettore che lo accetta e che, nelle sue modifiche più recenti, punisce l’accordo, indipendentemente dalla sua realizzazione. Nel caso specifico, gli investigatori hanno trovato le prove sia dell’accordo che della sua concretizzazione, raccontando – tramite la trascrizione dei messaggi copiati dal telefono di Valentina De Giosa – di come gli elettori siano stati avvicinati, istruiti e poi ricompensati.

Denaro e buoni pasto
Nelle perquisizioni effettuate nel giugno 2019, in realtà, non è stato trovato il telefono che il candidato al Municipio ha utilizzato durante la campagna elettorale e che ha spiegato di avere distrutto a causa di una caduta dalla bici, proprio il giorno prima della visita dei carabinieri. Una singolare coincidenza, che non ha impedito agli investigatori di sequestrare i cellulari di moglie e figlia di De Giosa, nonché una serie di block notes e fogli nell’auto del consigliere (uno con la scritta “Valentina amici”, un altro con “Persone da chiamare”, “Buoni pasto”; “Persone che sono venute a parlare”), le fotocopie di numerose carte di identità e tessere elettorali scoperte in casa, frammenti di altri documenti nella spazzatura e una provvista di 4.400 euro in un giaccone, che secondo i carabinieri serviva per pagare gli elettori.

Il sistema ricostruito era elementare quanto efficace. De Giosa e la figlia – stando alle ipotesi della Procura – avrebbero contattato centinaia di elettori residenti nei quartieri Murat, Libertà, Madonnella, San Nicola, Japigia, Torre a mare (che ricadono nel 1 Municipio), chiedendo il loro voto e quelli di amici e familiari. In un messaggio del 2 aprile, per esempio, la ventunenne scriveva a un amico: “Se oltre a te lo vogliono fare anche i tuoi genitori, parenti o amici, non ci sono problemi, l’importante è che mi porti le tessere elettorali così ti registro. Più siete e più guadagni“. La sede in cui materialmente si consumava il voto di scambio era il comitato elettorale di De Giosa in via Valona, a Madonnella, anche se molti sostenitori venivano raggiunti a domicilio o passavano sotto casa De Giosa per ritirare i factotum delle schede.

“Vota Maurodinoia”
L’obiettivo era fare in modo che nessuno sbagliasse, come si evince anche dai messaggi vocali che i carabinieri hanno trascritto. Il 14 maggio 2019, per esempio, Valentina spiegava a una donna: “Questo è il bigliettino, è semplicissimo, quel giorno dovrà votare sia al Comune che al Municipio. Il Comune è la scheda azzurra, dove dovrà barrare il simbolo di Sud al centro e scrivere Maurodinoia-Di Giorgio. Sulla scheda rosa dovrà fare la stessa cosa e scrivere De Giosa“. I voti, in sostanza, venivano raccolti sia per il Comune che per il Municipio e la candidata su cui farli confluire era Anita Maurodinoia, attuale assessore regionale ai Trasporti, che in quelle consultazioni ottenne 6.234 preferenze, entrando in Consiglio comunale (dal quale si è dimessa pochi giorni fa). Maurodinoia non è indagata né è risultata una sua eventuale consapevolezza del fatto che De Giosa pagasse gli elettori.

Il prezzo del voto
Il politico prometteva 25 euro a voto. La richiesta della tessera elettorale serviva per compilare gli elenchi su cui poi spuntare la preferenza tributata e successivamente il compenso elargito. C’era poi un’altra scheda prestampata sulla quale erano segnati i “nominativi della famiglia segnalata” ovvero le persone che ogni uomo o donna contattato aveva, a sua volta, coinvolto. In caso di problemi materiali, come la perdita della tessera, gli elettori venivano aiutati a risolverli: “Se la tessera elettorale non la trovi, non ti preoccupare che te la procuro io al Comune, l’importante è che mi dai il documento di identità“. Subito dopo il voto l’onere dell’elettore – annotano i carabinieri – era dimostrare di avere tenuto fede all’impegno. Cosa che, effettivamente, moltissimi avevano fatto, inviando sul telefono di Valentina De Giosa le fotografie delle tessere elettorali con il timbro del 29 maggio 2019. Proprio nella notte dopo le elezioni e nei giorni immediatamente successivi, il cellulare della donna si era fatto rovente, con i messaggi delle persone che volevano riscuotere la somma promessa e lei che rispondeva secca: “Verificheremo se tu veramente hai dato il voto e poi ti ricontatto“. Alcuni passavano dall’ufficio, altri da casa. Ad una il 30 maggio Valentina scriveva: “Amo’, papà ha chiuso l’ufficio, devi passare da casa, i soldi te li metto nella busta con la molletta e te li lancio dal balcone“. Altri sarebbero stati ricompensati con dei buoni pasto, come si evince da un appunto trovato nell’auto del De Giosa, in cui accanto al nome di una certa Annamaria era annotato: “Dare buoni pasto ogni volta che porta una persona“.

fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

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