Taranto, «Caso Capristo» il giallo delle date: sono tanti ancora gli omissis

Pagine e pagine di omissis. E un mistero sulle date. Le carte dell’inchiesta sul procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, finito l’altra mattina agli arresti domiciliari con l’accusa di induzione indebita a promettere o dare utilità, truffa e falso, fanno intuire che il fascicolo coordinato dal procuratore capo di Potenza Francesco Curcio ha ancora diversi aspetti da svelare. Capristo – che la settimana prossima potrà fornire la sua versione dei fatti nel corso dell’interrogatorio di garanzia – avrebbe cercato, secondo l’accusa, di indurre una giovane pubblico ministero di Trani (dove è stato procuratore dal 2008 al 2016), Silvia Curione, ora in servizio a Bari, ad aggiustare un processo. Non riuscendoci, per l’opposizione del sostituto che denunciò tutto, senza alcun timore delle eventuali ritorsioni nei confronti del marito Lanfranco Marazia, anche lui magistrato, all’epoca in servizio proprio a Taranto. Ai domiciliari sono finiti anche l’ispettore di Polizia Michele Scivittaro, in servizio alla Procura di Taranto e uomo di fiducia del procuratore fin dai tempi di Trani, e gli imprenditori bitontini Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo, mandanti secondo l’accusa dell’induzione indebita. Indagato a piede libero è l’ex procuratore di Trani, Antonino Di Maio, accusato di favoreggiamento e abuso d’ufficio.

Le indagini fanno riferimento, stando a quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Antonello Amodeo, ad episodi accaduti tra l’aprile 2017 e l’aprile 2019, con l’input partito il 25 marzo del 2019 dalla Procura Generale di Bari all’indirizzo della Procura di Potenza, competente per i fatti riguardanti i magistrati in servizio a Taranto. E qui si incardina il primo giallo relativo alle date. Se, come si legge nelle carte, l’inchiesta a Potenza è stata aperta a seguito della segnalazione giunta da Bari nel marzo del 2019, come mai il relativo numero del registro generale delle notizie di reato reca come anno di riferimento il 2018? Era forse stato già acceso un faro? Quanto agli omissis, agli atti dell’indagine ci sono i verbali delle sommarie informazioni testimoniali dei magistrati Silvia Curione e del marito Lanfranco Marazia, entrambi parti offese, e anche il verbale di interrogatorio di indagato in procedimento connesso, dell’avvocato siracusano Giuseppe Calafiore, ascoltato dagli inquirenti lucani nel giugno del 2019 nella sede della Direzione Nazionale Antimafia di Roma.

Calafiore era socio dell’avvocato Piero Amara, il consulente legale dell’Eni che affiancò nell’estate del 2016 gli allora commissari dell’Ilva nella trattativa con la Procura di Taranto (Capristo si era insediato in riva allo Jonio il 6 maggio di quell’anno) per il patteggiamento nell’ambito del processo «Ambiente Svenduto», trattativa che si concluse con un accordo che però non resse al successivo vaglio della corte d’assise e generò aspre polemiche degli ambientalisti tarantini nei confronti della Procura.

Calafiore rispose alle domande del procuratore Curcio e dei sostituti Gargiulo e Savoia, parlando sia di Capristo che del poliziotto barese Filippo Paradiso, grande amico del procuratore di Taranto, indagato a Roma per traffico di influenze. «Amara dice Calafiore, in verbali punteggiati da numerosi omissis mi spiegava che Capristo era legatissimo a Paradiso e questo legame si estrinsecò anche in occasione della nomina di Capristo a procuratore di Taranto. Immagino o meglio deduco che Paradiso si sia relazionato anche con la Casellati a tale scopo, atteso che certamente Paradiso conosceva la Casellati».

Gli inquirenti – che indagavano sul presunto accordo tra Capristo e i fratelli Mancazzo – chiesero a Calafiore di conoscere i nomi di eventuali imprenditori pugliesi legati al magistrato ma l’avvocato negò la circostanza: «Non conosco imprenditori pugliesi legati a Capristo. Quando sentivo il nome Capristo sentivo il nome Paradiso».

fonte: MIMMO MAZZA – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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