Slot machine, affari al profumo di mafia. Condannati in venti

Le migliori macchinette mangiasoldi della città le gestivano loro, gli Strisciuglio, i Capriati e gli Anemolo. Ognuno aveva la sua fetta di torta, le sue strade, i suoi locali, i suoi totem e le sue Vlt videolottery, autentiche galline dalle uova d’oro. A mandare all’aria il business, coltivato con profitto in maniera ininterrotta dal 2012 al 2019, ci hanno pensato nel gennaio del 2020 la Direzione distrettuale antimafia e la Guardia di finanza, notificando ai nuovi signori delle slot machine 36 provvedimenti cautelari per i reati di illecita concorrenza con violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso, estorsione, riciclaggio, usura, contrabbando di sigarette e detenzione abusiva di armi clandestine.

Secondo le indagini del Gico (Gruppo investigativo contro la criminalità organizzata) della Guardia di Finanza di Bari e dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) di Roma, coordinate dal procuratore Roberto Rossi e dalla pm antimafia Bruna Manganelli, il business ruotava intorno alla figura dell’imprenditore barese Baldassarre D’Ambrogio, 39 anni, socio di fatto di imprese e sale giochi a Bari e provincia, che si sarebbe circondato della opaca aura criminale dello zio Nicola D’Ambrogio, 60 anni, detto Trò Trò, ritenuto un pezzo da novanta degli Strisciuglio.

Nel processo nato dall’inchiesta denominata «Gaming Machine» lo scorso aprile sono arrivati i primi 9 verdetti di colpevolezza, ieri l’elenco si è allungato ancora con altre 20 condanne. In cima c’è il nome di Vincenzo Anemolo, 56 anni, condannato alla pena di 6 anni di reclusione. Seguono nell’ordine alfabetico Ruggiero Brancacci, 51 anni, condannato a 5 anni e 6 mesi; Francesco Belviso, 63 anni, condannato a 5 anni e 6 mesi; Tommaso Cacucciolo (39), 6 anni e 8 mesi; Maria Cantalice (54), moglie di Nicola D’Ambrogio, condannata a 5 anni; Domenico Capodiferro (59), 4 anni e 4 mesi; Donato Caporizzi (66), 3 anni; Giuseppe Capriati (37), di Bari Vecchia, 5 anni; Vito Antonio Catacchio (37), condannato a 5 anni; Nicola D’Ambrogio (60), 6 anni di reclusione; Antonio De Antonis (59), 5 anni e 6 mesi; Vito Di Cosola (57), 3 anni; Fabrizio Latrofa (30), 2 anni (pena sospesa con revoca della misura cautelare); Nicola Padolecchia (57), 5 anni e 6 mesi; Antonella Pontrelli (36 anni), moglie di Baldassarre D’Ambrogio; Francesco Quarto (45 anni), 5 anni e 6 mesi; Giuseppe Ranieri (35), 5 anni; Rosa Turitto, 1 anno e 6 mesi (pena sospesa) e infine Vito Valentino, 36 anni, detto «Vitino», figlio del boss Giacomo ora collaboratore di giustizia, condannato a 6 anni di reclusione.

Dagli atti del processo è emerso come D’Ambrogio (l’imprenditore) leader nel circuito di scommesse, si sarebbe accordato con i vertici delle tre famiglie di camorra facenti capo allo zio «TròTrò» a Lorenzo Caldarola, Vito Valentino, Giuseppe Capriati, Vincenzo Anemolo, Domenico e Gaetano Capodiferro. Cosa ci guadagnavano questi signori nell’assecondare e favorire l’installazione delle macchinette mangiasoldi? una partecipazione agli incassi delle slot (mensile o per ciascuna macchinetta installata, dai 100 ai 500 euro) e l’opportunità – hanno ipotizzato gli inquirenti – di riciclare il denaro sporco attraverso attività legali.

Dal fascicolo dell’inchiesta emerge che le tre famiglie di camorra avevano creato «zone di influenza, reciprocamente rispettate, per acquisire in modo esclusivo e monopolistico (direttamente o indirettamente tramite imprenditori collusi) la gestione o comunque il controllo della distribuzione delle apparecchiature da gioco (videopoker, slot machine) nei locali pubblici e delle sale gioco autorizzate (gestione dei totem e delle VLT video-lottery)», anche attraverso l’estromissione di altri imprenditori concorrenti operanti nello stesso settore.

Lo scorso aprile dicevamo sono arrivate le prime condanne. Il gup del Tribunale di Bari Antonella Cafagna al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato ha condannato alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione il boss Lorenzo Caldarola, 38 anni; alla pena di 7 anni e 8 mesi di reclusione l’imprenditore Baldassarre D’Ambrogio; a 5 anni e 4 mesi di reclusione Giuseppe Quarta, 43 anni e Vito Raggi, 42; a 4 anni, invece Gaetano Capodiferro, 38 anni e Rocco Minafra, 42; a 3 anni e 4 mesi di reclusione Vito De Feudis; a 2 anni e 8 mesi Michele Mazzei, 61anni e a 2 anni Leonardo Lorusso, 32 anni.

Il boss Giuseppe Mercante, detto «Pinuccio il drogato», deceduto dopo una lunga malattia, è stato assolto nel merito «per non aver commesso il fatto». Nella circostanza in Tribunale non è giunto il certificato di morte e il giudice non ha potuto estinguere il processo per morte dell’imputato. Di qui l’assoluzione «postuma». Nell’ordinanza d’arresto del 2020 emessa dal gip del Tribunale di Bari Giovanni Abbattista è stato disposto un sequestro di beni per un valore di 7,5 milioni. Una parte di questi beni, comprese due società intestate alla Pontrelli, è stata restituita, mentre per il resto si procederà alla confisca.

fonte: LUCA NATILE – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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