Regione Puglia, appalti e soldi: Lerario a giudizio

Scatterà il 16 giugno il processo per l’ex dirigente regionale e due imprenditori – fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it

I 30mila euro in contanti che Mario Lerario incassò a pochi giorni dal Natale 2021 dagli imprenditori Luca Leccese, di Foggia, e Donato Mottola, di Noci, non erano solo un regalo per le feste, ma soprattutto il corrispettivo di una corruzione che andava avanti almeno dal 2019. È per questo che l’ex capo della Protezione civile pugliese, arrestato in flagranza il 23 dicembre con 200 banconote da 50 euro tra le mani, avrebbe truccato almeno cinque appalti per 2,8 milioni a favore di Leccese e altrettanti per 2,5 milioni a favore di Mottola, aggiudicando loro gare che non avrebbero dovuto vincere. Ed è di questo che adesso tutti dovranno rispondere il 16 giugno davanti al Tribunale di Bari.

All’ex dirigente della Regione e ai due imprenditori è stata notificata ieri la fissazione del giudizio immediato cautelare disposta dal gip Anna Perrelli. Il procuratore Roberto Rossi e l’aggiunto Alessio Coccioli hanno scelto il percorso accelerato, consentito nei sei mesi dalle misure cautelari se gli imputati sono ancora in custodia (nel caso specifico, ai domiciliari). In questi mesi l’accusa è stata perfezionata ed è ora di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (l’arresto era avvenuto per corruzione impropria) anche grazie a una consulenza sugli appalti affidati alle società di Leccese (il 57enne che all’antivigilia di Natale fu registrato dalle microspie della Finanza mentre consegnava a Lerario 10mila euro) e a quelle di Mottola, 55 anni, che invece i suoi 20mila euro pensò bene di nasconderli in una «manzetta» di carne vantandosene pure al telefono («La mazzetta nella manzetta»).

Lerario, 49 anni, nato e residente ad Acquaviva, secondo l’accusa avrebbe affidato a Leccese la messa in sicurezza urgente della ex caserma Jacotenente di Vico del Gargano (85mila euro), la manutenzione della sala lettura della biblioteca Magna Capitana di Foggia (inizialmente 149mila euro, poi arrivati in totale a 226mila euro), la manutenzione della strada di accesso al ghetto di Rignano (180mila euro), la realizzazione della sede foggiana della Protezione civile (755mila euro, poi cresciuti di altri 504mila) e quella dell’insediamento per i migranti di Borgo Mezzanone (2,2 milioni). Tutti lavori giustificati con l’urgenza, e – dice la Procura – truccando le carte. Non solo perché sugli affidamenti diretti è obbligatoria la rotazione tra le imprese. Ma anche perché – ad esempio – per i lavori alla biblioteca sarebbero stati chiesti tre preventivi ad altrettanti operatori economici (Edil Sell.a, In Opera e Tecnoedge) «tutti riconducibili a Leccese», scegliendo poi il primo e affidandogli anche lavori aggiuntivi. Sono esattamente le stesse tre ditte invitate per l’appalto della sede della Protezione civile (nonostante in provincia di Foggia – annota la Procura – ce ne fossero 27 «che pur avendo entrambe le categorie Soa non erano invitate»): Edil Sell.a vince «solo a seguito di una nuova attribuzione di punteggi» necessaria per superare un altro concorrente, pagando poi una cifra più alta rispetto a quella di aggiudicazione e «arrotondando» con lavori supplementari per un altro mezzo milione. La solita Edil Sell.a è anche l’unica impresa locale invitata (in mezzo ad altre 22) per i lavori al Cara di Borgo Mezzanone, luogo che «poneva problemi per le imprese ubicate fuori regione». Un’impresa, quella di Leccese, che al pari di quella dell’altro imprenditore imputato non era nemmeno inserita nella white list (i controlli antimafia) della Prefettura.

La Dmeco Engineering di Mottola a marzo 2020 ha fornito i prefabbricati per la terapia intensiva covid del Perrino di Brindisi e per quella del Moscati di Taranto, tutti a trattativa privata: i primi affidati per 1,1 milioni e pagati poi 1,242 milioni, i secondi affidati per 803mila euro e pagati 901mila, «senza alcuna giustificazione di spesa rilevabile dagli atti». Stessa storia per i prefabbricati destinati ai reparti di emergenza covid e le strutture pre-triage dei Pronto soccorsi pugliesi, che dovevano costare rispettivamente 2,1 milioni e 285mila euro e sono invece stati pagati 2,383 milioni i primi e 291mila euro i secondi, o ancora per i container destinati all’associazione Anglat di Barletta, che nell’estate 2021 la Regione ha pagato 53.200 euro nonostante l’affidamento ne prevedesse 47mila. In più, dice l’accusa, Lerario fece pressioni su una funzionaria regionale affinché rilasciasse alla Dmeco una certificazione di esecuzione lavori necessaria ad ottenere «un’attestazione Soa (di categoria Os13 o Og11) il cui possesso avrebbe accresciuto di molto il valore dell’azienda di Mottola».

Le indagini sul «sistema Lerario» vanno avanti, concentrandosi in particolare sull’ospedale Covid della Fiera del Levante di Bari ma anche sugli altri lavori che l’ex dirigente ha affidato con i poteri di emergenza: gli indagati sono complessivamente più di 20. Nel frattempo ci sarà il processo per i primi due episodi davanti alla Prima sezione collegiale del Tribunale di Bari (presidente Marrone), dove la Regione dovrà costituirsi parte civile. L’immediato cautelare lascia agli imputati poco tempo per organizzare le difese. Anche per questo è probabile che sia Lerario (avvocato Michele Laforgia) che Leccese (avvocati Zangrillo e Ursitti) e Mottola (avvocati Bruno e Tolentino) possano tentare la strada del patteggiamento.

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