“Quella data sporca di sangue” intervista a Matteo d’Ingeo – di Sergio Magarelli (prima parte)

Coincidenze. Strane, inquietanti, ma consideriamole per ora coincidenze. E così quel 7 luglio, dopo 27 anni, è tornato a sporcarsi di sangue. A quello del “martirio” di Gianni Carnicella si è aggiunto il sangue di un altro uomo, vittima di altri spari con arma da fuoco. Situazioni opposte, dinamiche diverse, ma con la città ancora una volta a fare i conti con il suo stesso “malessere”. La sera prima dell’omicidio, in una conferenza puntualmente organizzata, Matteo d’Ingeo ha voluto ricordare alla città che quel fucile a canne mozze è ancora fumante. Aveva ragione, ha avuto ragione nel brevissimo giro di una manciata di ore. E allora sarà stata pure una coincidenza, ma quello che è successo è frutto di una analisi attenta, documentata e perfino studiata di quei “impercettibili detriti di illegalità diffusa” e che d’Ingeo, con costanza e coerenza, ormai da decenni cerca di spiegare alla città, alle istituzioni, ai cittadini. Abbiamo pensato di intervistarlo partendo proprio da questo triste avvenimento, ma con la consapevolezza che questa nostra conversazione possa rendere ancora più chiara a tutti quella che è oggi la nostra Molfetta.  (di S.Magarelli – l’altraMolfetta – Agosto 2019)

7 luglio 1992, 7 luglio 2019. Passano gli anni ma la città continua a bagnarsi di sangue. Dal tuo punto di vista, che lettura dai a quest’ultimo avvenimento?

Il 7 luglio 1992 un fucile a canne mozze uccide il Sindaco Gianni Carnicella alle ore 14.35 circa, il 7 luglio 2019 alle ore 15.35 circa,una pistola uccide Corrado Parisi, una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine. Sullo sfondo di queste vicende rimane un fatto su cui ci si sofferma sempre poco, le armi; in questa città circolano molte armi detenute illegittimamente. Lo stesso autore dell’omicidio del 7 luglio di quest’anno Sergio Farinola, conduttore del bar Meeting, non ha fornito agli inquirenti una credibile giustificazione sul possesso di una pistola con cui ha ammazzato Corrado Parisi fuori dal suo bar.  La vittima, negli anni ’90, era molto vicino alle famiglie che spacciavano droga, e non regge tanto la tesi delle sue pressanti richieste di restituzione dei soldi persi alle macchinette da gioco presenti nel bar del suo omicida. Non regge neanche l’ipotesi che l’arma usata dal Farinola fosse del padre, morto molti anni fa.

Perché?

Perché il padre, ex agente di Polizia Municipale, non aveva una pistola d’ordinanza e anche se l’avesse avuta non si spiega come mai in tutti questi anni il figlio non l’avesse mai dichiarata. Quindi rimane da scoprire da chi ha ricevuto la pistola e perché. Negli anni novanta le famiglie criminali molfettesi avevano un armiere, un certo F. Salinetti, morto in circostanze poco chiare, anche se il caso si chiuse con la tesi del suicidio. Invece oggi chi è l’armiere?

Due episodi criminosi le cui radici affondano nello stesso terreno?

Due episodi lontani nel tempo e nei moventi, ma inseriti in quella stessa fotografia istantanea cristallizzata da don Tonino Bello nella ormai celebre omelia per i funerali del Sindaco Carnicella. E ne fanno parte tutti gli omicidi che hanno macchiato di sangue la storia della nostra città dal 1992 ad oggi.In quell’omelia del lontano 9 luglio 1992, lo ripeterò fino alla noia, don Tonino non si sbagliava quando diceva che quel fucile a canne mozze chiudeva il discorso del concerto negato ma ne apriva un altro, molto più inquietante e amaro. Il discorso sul malessere della città, un malessere che i più vogliono rimuovere dalla loro coscienza e del quale fanno fatica a prendere atto. Un malessere che continua a costruirsi su impercettibili detriti di illegalità diffusa non sempre disorganica all’apparato ufficiale. C’era anche un passaggio di quell’omelia che rimane attuale: «È il discorso sulla rete sommersa della piccola criminalità che germina all’ombra di un perbenismo di facciata. Sulle connivenze col mondo della droga che ormai non risparmia nessun gonfalone». Quella era e rimane una corretta e lucida lettura dei fatti.

“Quel fucile a canne mozze ancora fumante”. È il titolo che hai dato all’appuntamento per ricordare il 27° anniversario dell’omicidio di Gianni Carnicella, evento che si è svolto esattamente il giorno prima dell’omicidio Parisi. Sei stato anche tu profeta…   

Non c’è dubbio, le canne sono ancora fumanti perché chiedono giustizia e verità. Quel titolo è stato, volutamente, evocativo e forte perché facesse riflettere sulle tante cose non dette in questi 27 anni non solo sull’omicidio Carnicella, ma anche sui tanti altri fatti di sangue archiviati come semplici omicidi passionali o passati nel dimenticatoio.

Ti riferisci all’omicidio di Annamaria Bufi?

Sì, il suo omicidio non ha mai avuto un colpevole certo. Proprio quest’ultimo caso, alla luce delle inchieste che stanno investendo alcuni ex giudici della Procura di Trani andrebbe riaperto. Ricordo ancora lo sfogo, apparso sui giornali dell’epoca, del procuratore generale della prima sezione penale della Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello che, pronunciandosi sulla vicenda Bufi, dichiarò:«Un processo come questo non può assolutamente morire qui. Mi auguro e vi auguro di non trovarvi mai più in carriera di fronte ad un processo brutto come questo; mi sento indignato per come il tutto si è svolto. Annamaria Bufi non ha mai, sino ad ora, avuto giustizia». 

Infatti il fascicolo tornò indietro in Corte di Appello di Bari per un nuovo processo che non ha mai avuto seguito per la morte dell’unico imputato. Molte fasi del processo, allora, sono passate dalle mani dell’ex Gip di Trani Dott. Michele Nardi che a gennaio di quest’anno è stato arrestato perché ritenuto a capo di un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione.

Questa è già cronaca dei nostri giorni.

Ma a questo si aggiungano anche delle interessanti dichiarazioni di un cittadino apparse più di un anno fa su Facebook in cui sosteneva che: «Sanno tutti che il carnefice è vivo e vegeto e si gode la vecchiaia come si è goduto questi anni tra una partita di tennis e l’altra… Del resto, con le spalle forti della “giustizia – quella terrena vestita di toga, dico io – si fa presto a puntare il dito contro gli altri». Solo per questi motivi il caso Bufi dovrebbe essere riaperto.

Torniamo sull’omicidio Carnicella. Cosa manca oggi per conoscere definitivamente e completamente la verità?

Nell’agosto del 2011 l’autore di quel gesto criminale, che stroncò la vita del nostro Sindaco, affisse in città dei manifesti in cui preannunciava l’uscita di un libro in cui avrebbe raccontato tutta la verità sull’omicidio Carnicella. Parlava di un signor “X” che avrebbe dovuto raccontare la sua verità al sottoscritto e faceva riferimento a un memoriale che gli fu sottratto durante la permanenza in carcere che avrebbe dovuto consegnare a un Magistrato. Sulla scorta di quelle notizie presentai un corposo esposto alla Procura di Trani durante la mia deposizione come persona informata sui fatti. Da allora nessuno ha mai saputo più nulla sul libro dell’assassino che non è mai stato pubblicato e sull’esito del mio esposto. Certo è che non mi è mai stata notificata, in questi 8 anni, alcuna richiesta di archiviazione sulla vicenda. Pertanto nessuno ha mai risposto alle tante domande poste allora agli inquirenti e alla richiesta finale: «se esistono elementi utili e i presupposti per riaprire il processo a carico di Cristoforo Brattoli per l’omicidio del Sindaco Gianni Carnicella per verificare nuove responsabilità di terzi che indussero lo stesso Brattoli a compiere l’efferato gesto e per sanare eventuali errori processuali e condizionamenti che il teste avrebbe subìto durante il dibattimento».

Credi che possa bastare una “pietra d’inciampo” posta dall’Amministrazione Comunale e dal Presidio di Libera, in via Carnicella, per mettere in pace le coscienze di tutti quanti ?

Assolutamente no. Un colpo basso che ha fatto molto male a me e a tutti gli attivisti del Liberatorio.

Perché?

In tutti questi anni ci siamo battuti affinché ci fosse una stele, una lapide o epigrafe, accanto alla fioriera sulla gradinata e non una pietra d’inciampo sull’asfalto. Ma non è solo questo che ci ha fatto male; qualche anno fa avevamo concordato con la famiglia Carnicella-Landolfi, la frase da riportare sull’epigrafe, uno stralcio dell’omelia di don Tonino, e la frase iniziale, «Qui cadde sotto il fuoco di un fucile a canne mozze», in modo da trasmettere ai giovani, viandanti e ai posteri, che Gianni Carnicella è “caduto”, su quella scalinata, “sotto il fuoco di un fucile a canne mozze”.

 

E invece…

Invece il Sindaco e “Libera” hanno deciso di eliminare la frase iniziale. Quindi i posteri non sapranno mai, leggendo la pietra d’inciampo, com’è morto il Sindaco Gianni Carnicella. Questo è anche un altro motivo per cui il fucile a canne mozze è ancora fumante (continua).

 

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