Petrolio e mafie, ecco come il boss riciclava i proventi delle attività illecite. Disposto il maxi sequestro per bar, pizzerie, società e automezzi

L’accusa: «Ecco come il boss riciclava i proventi delle attività illecite»

Bar, pizzerie e automezzi disposto il maxi sequestro – di Mimmo Mazza – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Ammonta a circa 50 milioni di euro il valore dei beni sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito delle inchieste condotte in maniera parallela dalle procure distrettuali di Lecce e Potenza sul giro di contrabbando di prodotti petroliferi.In particolare, il gip Laura Liguori, accogliendo la richiesta del pm Milto De Nozza, ha disposto il sequestro del compendio aziendale della Pizzeria Da Mammina, in viale Europa a Talsano, delle quote sociali della cooperativa Primus e dei compendi aziendali del bar Primus di Talsano, del bar Primus Borgo e della pizzeria Primus Family in corso Vittorio Emanuele a Talsano, della società Primus Family Srls, sempre di Talsano. Sequestro anche per la società Dolci Incantesimi srl, società che a sua volta gestiva il bar «La Piramide»: Sequestro per il compendio aziendale Alba International Group, con sede in Grottaglie, attiva nel commercio all’ingrosso ed al dettaglio di carburanti; per la società Cts International Group, esercente l’attività di commercia all’ingrosso di prodotti petroliferi con una delle sedi operative a Ginosa, sequestro che comprende i beni mobili registrati (automezzi e cisterne), i beni immobili (depositi commerciali, impianti di distribuzione con il relativo prodotto energetico), i rapporti finanziari e bancari intestati alle società coinvolte nell’inchiesta. Sequestro inoltre per motrici e cisterne.«Il costrutto finale dell’intera attività investigativa svolta ha con- segnato – scrive il pm Milto De Nozza nella richiesta di misura cautelare personale e reale – quella che può ritenersi l’ultima frontiera, probabilmente la più avanzata, della criminalità mafiosa tarantina: non più, e non solo, il vecchio boss violento che mira a realizzare profitti con il traffico di droga ma il nuovo boss che, pur essendo in grado di ricorrere alla violenza quando necessario, persegue un obiettivo ambizioso, cioè quello di penetrare il tessuto economico – non solo locale – “indossando la giacca e la cravatta”, forte degli studi compiuti, abile a muoversi nei meandri della legislazione vigente, attento a curare meticolosamente i rapporti con le istituzioni locali, cosi da assicurare alle proprie attività economiche un doppio livello di tutela, quello “mafioso” contro gli attacchi della delinquenza comune e quello “corruttivo” contro gli attacchi delle istituzioni statali. Ed infatti, l’indagine racconta la storia di un uomo che costretto ad abbandonare il progetto di creare un gruppo criminale autonomo e distinto rispetto a quelli esistenti nei primi anni del secondo millennio e dopo avere subito una carcerazione lunga dieci anni, riacquistata la libertà decideva di portare a compimento il progetto iniziale, con una variante rispetto al passato, vale a dire quella di creare un clan dalla natura e struttura mafiosa ma capace di operare nel mondo della economia lecita».

«Le indagini svolte nell’ambito del presente procedimento penale – prosegue De Nozza – hanno consegnato, viceversa, la prova che il cammino un tempo intrapreso dal Cicala verso quella “mafiosizzazione” rimasta, all’epoca dei fatti, incompiuta, oggi si sia concluso, facendo di lui quello che, attualmente e senza timore di smentita alcuna, può essere ritenuto il personaggio di maggiore spicco della realtà criminale tarantina». Il sequestro dei beni si è reso necessario perché le «risorse illecitamente accumulate» venivano utilizzate «al fine di penetrare l’economia e non solo quella locale, così da creare un radicato, capillare e diffuso potere economico che, sommato a quello mafioso, avrebbe fatto di lui il personaggio di maggiore spessore criminale della storia tarantina, come di fatto accaduto e comprovato dalle indagini svolte. Un obiettivo, quest’ultimo, che Cicala ha dimostrato di voler perseguire con uno schema già collaudato, ovvero quello di ricorrere alla creazione di società intestate a terzi nelle quali riciclare i proventi derivanti dallo svolgimento di attività economiche svolte da altre società, sempre fittiziamente intestate ad altri soggetti. Un meccanismo che potremmo definire di anatocismo dell’intestazione fittizia: si crea una società fittizia che produce reddito, si utilizza quel reddito per riciclarlo nella costituzione di altra società fittiziamente intestata a terzi e così via, arrivando al punto da creare talmente tante entità economiche da far apparire impossibile qualunque tentativo di risalire alla genesi lecita o meno delle stesse».

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