Omicidio Rafaschieri a Carbonara, arrestati esponenti del clan Parisi-Palermiti. In manette anche capo dei vigili di Sammichele

Nove gli indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, dell’uccisione del 24enne Walter Rafaschieri e del tentato omicidio del fratello Alessandro: l’agguato nel settembre 2018 a Carbonara. Tra i destinatari dell’ordinanza anche il comandante della Polizia locale del Comune barese: non è direttamente coinvolto nel delitto, ma avrebbe successivamente favorito uno dei pregiudicati – fonte: www.baritoday.it

Operazione della polizia di Stato in corso dalle prime ore del mattino a Bari. Gli agenti, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia  di Bari, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare a carico di nove indagati,  di cui otto presunti capi e affiliati al clan Parisi-Palermiti. Sono ritenuti responsabili, a vario titolo dell’omicidio, aggravato dal metodo mafioso, del 24enne Michele Walter Rafaschieri e del tentato omicidio del fratello Francesco Alessandro di 34 anni.

I nomi degli arrestati

Palermiti Giovanni, detto “Gianni”, di anni 45, figlio del presunto capo clan Eugenio
Mineccia Filippo, detto “u’russ”, di anni 37, genero di Palermiti Eugenio
Ruggieri Michele, di anni 35
Campanale Riccardo, di anni 27
Lavermicocca Domenico, di anni 31
Mastrorilli Giovanni, detto “Nino”, di anni 45
Triggiani Francesco, di anni 45
Catalano Gianfranco, di anni 36 (tutti censurati)

D’Arcangelo Domenico, di anni 53, comandante della Polizia Municipale del Comune di Sammichele di Bari (che secondo l’accusa, dopo l’omicidio, avrebbe consentito al Palermiti di “costituirsi un alibi, inducendo una sua agente a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, per attestare la presenza del Palermiti in Sammichele il giorno e l’ora del delitto“).


 VIDEO: L’AGGUATO RIPRESO DALLE TELECAMERE 

I fatti risalgono al 24 settembre 2018 a Carbonara: i due fratelli, figli del boss di Madonnella Vincenzo Rafaschieri, soprannominato ‘Bibi’, ucciso in una una sparatoria nel 1994, furono raggiunti da una raffica di colpi d’arma da fuoco mentre si trovavano a bordo di una moto.

Le indagini, svolte dalla sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile della Questura di Bari, sono state avviate subito dopo il duplice agguato e hanno consentito di determinare movente, e i presunti mandante, autori materiali e fiancheggiatori del fatto di sangue, “inquadrato – hanno ricostruito gli investigatori – nella faida per il controllo del traffico e dello spaccio di droga in alcuni quartieri di Bari – tra il clan Parisi/Palermiti e il clan Strisciuglio, che ha interessato questo capoluogo tra il 2017 e il 2018”.

Secondo quanto emerso dalle indagini, l’azione di fuoco sarebbe stata commessa da un commando armato composto da Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, “che – ritengono gli investigatori – la idearono, organizzarono ed eseguirono con l’intento di assassinare entrambi i fratelli Rafaschieri”. Solo per un caso fortuito, Francesco Alessandro Rafaschieri, pur colpito a distanza ravvicinata, rimase ferito, peraltro molto gravemente, restando poi paralizzato alle gambe.

Alle fasi di pianificazione del delitto “parteciparono attivamente anche Michele Ruggieri  e Riccardo Campanale, che fornirono le armi ed il materiale necessario alla realizzazione dell’azione criminosa, a cui presero parte anche Gianfranco Catalano, con il preciso compito di segnalare al commando l’arrivo delle potenziali vittime e Domenico Lavermicocca, il quale, nelle fasi immediatamente successive all’omicidio, si adoperò per disperdere ogni traccia od elemento che potesse ricondurre agli autori dell’azione di fuoco“.

Tra i destinatari dell’ordinanza cautelare figura anche Domenico D’Arcangelo, comandante della Polizia Municipale del Comune di Sammichele di Bari. Secondo gli investigatori, dopo l’omicidio, avrebbe consentito al Palermiti “di costituirsi un alibi, inducendo una sua agente a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, per attestare la presenza del Palermiti in Sammichele il giorno e l’ora del delitto, consapevole del ruolo del Palermiti nella compagine criminale del quartiere Japigia di Bari. In cambio, il D’Arcangelo riceveva un cellulare del valore di 800 euro ed una somma non accertata, ma elevata, di denaro. Peraltro, affatto pentito della sua condotta, in occasione delle indagini, sapendo che la sua agente era stata interrogata dagli investigatori, pronunciava frasi inequivoche “…quelli non hanno le prove… se no avrebbero già fatto” (mentre era intercettato); e diceva alla sua agente: “tu dì non mi ricordo, …ripeti la teoria che non ricordi niente””.

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