Nota di ENI conferma quanto denunciato sull’inquinamento delle trivelle in mare

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Greenpeace accoglie con soddisfazione la nota con cui ENI ammette la legittimità dei riferimenti menzionati dall’organizzazione ambientalista nel suo rapporto “Trivelle fuorilegge” sull’inquinamento ambientale delle piattaforme offshore.
I riferimenti utilizzati per la stesura di questo report sono infatti gli stessi normalmente utilizzati non solo da ISPRA ma soprattutto dal Ministero dell’Ambiente che, tra l’altro, utilizza correntemente questi parametri nelle prescrizioni relative all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per le emissioni in mare degli impianti di estrazione e trasporto di idrocarburi.

I livelli di concentrazione limite a cui fa riferimento ENI sono gli Standard di Qualità Ambientale (SQA), definiti dalle normative vigenti come i valori limite da non superare per definire il “buono stato” chimico dell’ambiente.

Laddove non esistono dei limiti di riferimento, come ad esempio per i metalli, ENI afferma che solo in “alcuni casi” il confronto tra le concentrazioni di queste sostanze misurate in mitili (le comuni cozze) raccolti presso le piattaforme mostra valori più alti rispetto a quelli registrati in campioni di mitili cresciuti in aree incontaminate (Portonovo). Il confronto effettuato da Greenpeace purtroppo evidenzia l’esatto contrario. Infatti, solo per citare alcuni esempi, l’82 per cento dei campioni di mitili per quel che riguarda il cadmio, il 77 per cento per il selenio, il 63 per cento per lo zinco mostra valori più alti rispetto a quelli registrati nei campioni di Portonovo. Si tratta di alcuni metalli che costituiscono i cosiddetti “anodi di sacrificio”, ovvero strutture volte a proteggere dalla corrosione le strutture metalliche delle piattaforme.

Nella sua nota, ENI continua a parlare di rigidi controlli sui mitili che crescono sulle piattaforme e destinati alla commercializzazione ma Greenpeace, che da una settimana ha chiesto questi dati all’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Regione Emilia Romagna e all’Agenzia USL Romagna, non ha sinora ricevuto alcuna risposta.

«Se ci sono, queste analisi restano segrete: che aspettano ENI, Cooperative della Pesca e organismi competenti a mostrarle in pubblico? Non serve molto per tranquillizzarci rispetto alla salubrità degli ingenti quantitativi di cozze, dell’ordine di diecimila quintali l’anno, secondo quanto leggiamo sui media, immesse sul mercato da decenni», commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.

«È evidente che serve maggiore trasparenza su questo e molti altri temi legati alle attività di estrazione di idrocarburi offshore», continua Boraschi. «Anche a questo serve il referendum del prossimo 17 aprile: ad alzare il velo su argomenti troppo spesso taciuti. Ci facciano vedere queste analisi e dopo, si spera, staremo tutti più tranquilli».

«Nel frattempo restano in sospeso almeno due interrogativi. Se il Ministero ha evidenze che dimostrano il superamento dei limiti di riferimento fissati per le piattaforme che sversano in mare le acque di produzione, perché non fa nulla? E, seconda domanda, dove sono – se ci sono – i dati del monitoraggio delle restanti piattaforme, un centinaio circa, di cui il Ministero non ci ha fornito dati?», conclude Boraschi.

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