Marcello Dell’Utri, ordine di cattura per l’ex senatore: ma è latitante in Libano

di Redazione Il Fatto Quotidiano 

Marcello Dell’Utri è latitante in Libano. Ufficialmente dalla sera di giovedì 10 aprile. La terza sezione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, ha emesso un ordine di custodia cautelare per pericolo di fuga nei suoi confronti, ma la Squadra mobile di Milano non ha potuto eseguirlo, perché non riesce a trovarlo.

La notizia arriva a pochi giorni dalla sentenza definitiva in Cassazione sul concorso esterno in associazione mafiosa – fissata per martedì 15 aprile – reato per il quale è stato condannato a sette anni di carcere (leggi le motivazioni della sentenza). E in vista dell’udienza ha lasciato l’Italia. Secondo gli investigatori, che hanno cercato invano di eseguire la misura e da settimane monitorano le sue mosse, l’ex senatore dal Libano, dove in passato ha intrattenuto rapporti d’affari e ha diversi contatti, sarebbe pronto a spostarsi. L’ex senatore Pdl, amico personale diSilvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia e già numero uno di Publitalia, allo stato sembra introvabile. Sparito proprio nei giorni in cui l’ex premier attende la decisione sull’affidamento ai servizi sociali.

Secondo La Stampa Il Giornale di Sicilia, Dell’Utri poteva essere in Guinea BissauLibano oRepubblica dominicana, Paesi di cui ha il passaporto. E proprio nell’ultimo Stato, ricorda il quotidiano torinese, “si era rifugiato due anni fa, in circostanze analoghe, quando sparì nei giorni in cui la Cassazione doveva decidere la sua sorte”. Polizia e carabinieri però, scrive l’Ansa, smentiscono la notizia del tentativo fallito di recapitare l’ordinanza. ”Non siamo andati a notificare nulla all’ex senatore Dell’Utri”, dicono. Secondo indiscrezioni, tuttavia, gli investigatori milanesi inviati al domicilio di dell’Utri non lo avrebbero effettivamente trovato in casa. Sulla circostanza, però, viene mantenuto il massimo riserbo.

Nei mesi scorsi la Corte d’appello di Palermo aveva respinto per due volte consecutive la richiesta di divieto d’espatrio avanzata dal pg Luigi Patronaggio. Due giorni fa invece la svolta. Accolta la richiesta di arresto per il pericolo di fuga all’estero. All’origine della decisione, oltre agli accertamenti della Dia che da tempo tenevano sotto controllo l’imputato, una intercettazione che risale a novembre, in cui il fratello di Dell’Utri, Alberto, parlando col proprietario del ristoranteAssunta Madre di Roma Vincenzo Mancuso, dice di “accelerare i tempi” e fa riferimento alla Guinea che “concede facilmente i passaporti diplomatici”.

A eseguire l’intercettazione ambientale che aveva allertato gli inquirenti era stata la Procura di Roma, “nell’ambito di una inchiesta per riciclaggio su un’imprenditore calabrese, Gianni Micalusi, l’8 novembre scorso, ed era stata subito trasmessa all’estero”. In risposta Mancuso chiede al fratello dell’ex senatore se non ha mai pensato “di farsi nominare ambasciatore della Guinea”. Un’ipotesi a cui Alberto Dell’Utri rispondeva facendo riferimento a un “retroscena” che aveva a che fare con “un personaggio che ha sposato la figlia del presidente africano”. E sull’ipotesi del Libano spiegava che l’ex parlamentare aveva cenato ” a Roma con un politico importante del Libano, che si candida presidente”.

Destini incrociati quelli dell’ex senatore e dell’ex Cavaliere, che ha sempre difeso l’amico, oggi come ieri. Nelle 447 pagine della condanna di appello dello scorso 5 settembre proprio la terza corte d’appello di Palermo, presieduta da Lo Forti, si mette nero sul bianco come quei destini si fossero anche intrecciati con la mafia: un vero e proprio patto che ha visto sedersi allo stesso tavolo due contraenti d’eccezione: da una parte Silvio Berlusconi, dall’altra parte Cosa Nostra. Mediatore dell’accordo era Marcello Dell’Utri. Secondo i giudici l’ex premier elargiva somme di denaro ai boss, che in cambio gli avevano assicurato protezione totale, grazie a Vittorio Mangano, non solo lo stalliere di Arcore appassionato di cavalli che divenne eroe di Berlusconi e Dell’Utri, ma soprattutto boss di Porta Nuova spedito a Villa San Martino per fare da bodyguard all’allora imprenditore su mandato della Piovra: “La genesi del rapporto che ha legato l’imprenditore e la mafia con la mediazione di Dell’Utri” scriveva è rappresentata “nell’incontro avvenuto a maggio 1974, cui erano presenti Gaetano Cinà, Dell’Utri, Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Berlusconi”. Un vis-a-vis raccontato per la prima volta dal pentito Francesco Di Carlo, ritenuto provato già in primo grado, e che era stato ritenuto provato anche dai giudici d’appello che lo collocano tra il 16 e il 29 maggio del 1974.

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