Nell’agosto del 2015, per la prima volta a Molfetta, parlammo pubblicamente di una storia sconosciuta, intrappolata nella memoria della rassegnazione dei familiari dei 19 marinai italiani scomparsi nel 1962 con la loro nave HEDIA. Una storia raccontata dal giornalista d’inchiesta Gianni Lannes, dal nipote di uno dei 19 uomini di equipaggio, Accursio Graffeo e dal prof. Nico Perrone che ha inquadrato storicamente la vicenda. L’atmosfera che si percepiva in sala già dal primo arrivo dei parenti dei sei marinai molfettesi scomparsi era di grande aspettativa; si sono incontrati per la prima volta dopo 53 anni, si sono presentati, si sono abbracciati e hanno cominciato subito a scambiarsi i contenuti delle ultime lettere dei loro congiunti.
Molti sono arrivati con le foto dei loro dispersi, e se le scambiavano come fossero figurine di eroi introvabili, quella più gettonata era del “giovanotto” di bordo Giuseppe Uva, il più giovane, aveva solo 16 anni, gli altri Michele Marancia (secondo ufficiale macchina), Nicola Caputi (marinaio), Corrado Caputi (ingrassatore), Cosimo Gadaleta (marinaio), Damiano Bufi (marinaio).
Oggi si aggiunge un nuovo tassello a quella ricerca storica della verità.
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L’ultimo libro del giornalista ragusano Gianni Papa ricostruisce nei dettagli l’intrigo internazionale del 1962: dalla sparizione al possibile sequestro. Tra petrolio e venti vite sacrificate sull’altare degli interessi delle multinazionali. – di Lucio Luca – www.repubblica.it
“Sulla tomba di un marinaio non sbocciano le rose. Sulla tomba di un marinaio non c’è nessun fiore che sboccia. Gli unici gioielli per noi sono i gabbiani bianchi”. L’ultimo libro di Gianni Papa, giornalista ragusano con una particolare attenzione alla ricostruzione storica, si apre con il verso di una canzone dei marinai tedeschi. Verso mai più indicato per una storia, “la sporca faccenda dell’Hedia” che racconta di una nave scomparsa con venti uomini di equipaggio – un gallese e diciannove italiani – relitti, cadaveri, chiazze di nafta, siluri magnetici, armi destinate alla guerra in Algeria. E, sullo sfondo, un delitto eccellente mai del tutto chiarito: quello del presidente dell’Eni Enrico Mattei.
Un giallo appassionante che comincia alle 10 del mattino del 14 marzo 1962, quando l’Hedia comunica la posizione e annuncia un cambio di rotta per il mare forza otto. Doveva essere l’ultimo viaggio, da Ravenna fino in Spagna e ritorno, con uno scalo intermedio a Casablanca, in Marocco. Un viaggio sereno prima della demolizione. Nessun problema almeno fino al 5 marzo, quando la nave scaricò, come da programma, alcune tonnellate di concimi chimici a Burriana in Spagna, ripartendo successivamente vuota verso Casablanca.
Lì, il 10 marzo, i marinai caricarono quattromila tonnellate di fosfati attesi a Porto Marghera e ripartirono per l’ultima volta, incuranti della burrasca che infuriava in quelle ore nel Canale di Sicilia. Dopo quell’ultimo contatto, solo il 20 marzo, dopo sei giorni di inutili ricerche, la nave è dichiarata persa con l’intero equipaggio. Da subito in quel naufragio senza SOS si nota però qualcosa di strano. E quando a settembre, nella foto di alcuni prigionieri rilasciati ad Algeri i parenti degli scomparsi riconoscono cinque loro cari, lo strano si trasforma in inquietante.
Tuttavia, solo col passare del tempo verranno fuori trame da intrigo tra fantapolitica, servizi segreti, verità negate, assurdi dinieghi, fake news ufficiali, depistaggi insistiti, insabbiamenti di Stato e spudorate montature. Accursio Graffeo, il nipote di uno dei marinai scomparsi, non si è mai voluto arrendere alle verità “ufficiali” e ha deciso di proseguire una missione di civiltà ereditata dalla nonna Rosa, cercando di coinvolgere stampa, associazioni, registi, politica.
Il risultato delle ricerche congiunte di Accursio Graffeo e Gianni Papa ha portato a escludere il naufragio. Per lui – e per l’autore di “Hedia, ultimo messaggio 10.00 N807”, si trattò invece di un sequestro finito nei peggiori dei modi, dettato da forti interessi economici, con venti marinai sacrificati sull’altare della lotta tra gli interessi delle multinazionali del petrolio insieme a Enrico Mattei, autore del miracolo economico degli anni Sessanta che aveva come obiettivo di rendere l’Italia autonoma dal punto di vista energetico. Mattei che, com’è noto, qualche mese dopo sarebbe morto insieme a un giornalista nell’esplosione di un piccolo aeromobile nelle campagne della provincia di Pavia, mentre era in avvicinamento all’aeroporto di Milano.
Gianni Papa nel suo libro assai documentato ha aperto il vaso di Pandora che custodiva la fine dell’Hedia proprio con l’aiuto di quel nipote testardo. Ha riportato le lettere originali e ha analizzato tutti i dati conosciuti cercando, con rigore, nuovi spunti per chiarire una vicenda che non può – e non deve – finire nel dimenticatoio.