L’ex gip De Benedictis e le armi dai militari: “Non sai cosa mi hanno portato…”. Giallo su quelle sequestrate ai clan

Le intercettazioni di un caporale dell’Esercito raccontano particolari inediti sull’arsenale dell’ex magistrato arrestato, che voleva incrementare la sua già ricca collezione. I documenti depositati con l’avviso di conclusione delle indagini – fonte: Cenzio Di Zanni, Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Il canale militare era quello privilegiato per l’approvvigionamento di armi destinate all’ex gip barese Giuseppe De Benedictis, agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione e per detenzione abusiva di un arsenale. Lo raccontano le intercettazioni inedite delle conversazioni con Antonio Serafino, caporale maggiore dell’Esercito, anche lui arrestato il 29 aprile dello scorso anno e protagonista di un’indagine in cui è coinvolto l’imprenditore Antonio Tannoia, proprietario della masseria ad Andria in cui l’ex magistrato custodiva l’arsenale.

Le intercettazioni sono state depositate insieme con l’avviso di conclusione delle indagini, firmato dai pubblici ministeri leccesi Roberta Licci e Alessandro Prontera, e a cui seguirà una richiesta di rinvio a giudizio. “Con i camillini, Antò, che cosa non hanno portato… “, diceva De Benedictis a Serafino il 6 dicembre 2020 riferendosi a trasporti che sarebbero avvenuti con i mezzi militari e chiedendo all’amico se avrebbe potuto sollecitare un militare del Comsubin (gli incursori della Marina), affinché gli procurasse qualche pezzo.

Serafino diceva che era impossibile ma il giudice insisteva: “Neanche se nascondono qualcosa in una paratia del Lince?“. “Non hai capito, là se ti prendono ti squartano…“. “Ma io posso essere responsabile di quello che si vede, non di quello che non si vede… Nei Leopard, sai dove le mettevamo le armi nascoste? Nei bossoli del cannone. E poi rimettevamo sopra la spoletta“. Di fronte al fermo rifiuto di Serafino, De Benedictis non demordeva: “E se è nascosto all’esterno? Per esempio sotto, chiunque si può intrufolare e nascondere… “.

Nel periodo in cui è stato intercettato, insomma, il magistrato manifestava una smania continua di procurarsi nuove armi, nonostante i pezzi della sua collezione fossero già centinaia (oltre 200 sequestrati ad Andria). E talmente forte era la voglia di avere cose nuove da non badare a spese, come racconta un’altra conversazione: “Quelli che ti devo dare li vado a prendere dalla banca, invece i 2mila euro devi aspettare il 15 che mi pagano la tredicesima“.

Tale atteggiamento compulsivo nei confronti delle armi è stato ammesso dallo stesso ex magistrato nel corso degli interrogatori davanti ai colleghi di Lecce. Ma le indagini sono in corso, proprio per individuare i canali di approvvigionamento. Suoi, di Tannoia e di Serafino. Quest’ultimo – stando a quanto è stato accertato dalla Squadra mobile di Bari – era in collegamento con alcuni esponenti della criminalità organizzata di Bitonto.

Intercettando loro e poi il caporal maggiore, gli investigatori hanno ascoltato anche De Benedictis e quindi la Dda di Bari ha trasferito l’inchiesta a Lecce. Nelle interlocuzioni il giudice si mostrava prodigo di consigli su come eludere la legge in diverse circostanze. In un’occasione, per esempio, Serafino si lamentava di avere il porto d’armi bloccato e l’amico gli consigliava, in caso di controllo da parte delle forze dell’ordine, di presentarsi come perito mostrandogli una vecchia autorizzazione rilasciata da un giudice. E indicava il nome di una funzionaria della prefettura, che avrebbe potuto aiutarlo.

Altra questione estremamente delicata, emersa nel corso delle intercettazioni, è la possibilità che qualche esponente delle forze dell’ordine della provincia di Bari abbia fornito al magistrato armi sottratte a quelle che venivano sequestrate alla criminalità. A fare ipotizzare che qualcosa di simile sia avvenuto nel passato recente ci sono alcune affermazioni di De Benedictis, fatte pochi giorni dopo un sequestro della polizia a Bitonto.

Hanno preso cinque Smith Wesson, una 357, tre mitragliette Skorpion e un silenziatore – affermava l’allora gip – Il revolver me lo voglio fregare…“. “Per dare credibilità a questa affermazione – dice l’informativa allegata agli atti d’indagine – Pino ha telefonato a un certo Leo, chiedendo di poterlo incontrare. Il sospetto è che questa persona potesse avere accesso alle armi sequestrate e che De Benedictis volesse chiedergli di procurargliene qualcuna.

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