Le motivazioni della condanna a 16 anni: «Nardi era a capo della cricca che truccava processi a Trani»

«Ha preso soldi e regali da D’Introno». Gli incontri dell’ex gip con un esorcistafonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

All’interno del Tribunale di Trani operava «un sistema di corruttela» con al vertice Michele Nardi, che poteva contare sulla «costante collaborazione» dell’ex pm Antonio Savasta. Nelle 1.039 pagine di motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Lecce ha condannato l’ex gip a 16 anni e 9 mesi di carcere emerge l’esistenza di una cricca dei processi truccati che aveva come obiettivo «la tutela del patrimonio del D’Introno», l’imprenditore di Corato che con le sue confessioni ha dato avvio all’inchiesta ma che «inizialmente agganciato quale “vittima” del Nardi, progressivamente diviene membro del gruppo, del quale condivide le iniziative da cui si propone di trarre personali vantaggi».

Non ci sono dunque vittime tra i cinque condannati a vario titolo dal collegio di Lecce (presidente Baffa) per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, abuso d’ufficio, concussione, traffico di influenze e numerosi episodi di falso. La vittima vera è Paolo Tarantini, il titolare dell’agenzia di viaggio contro cui viene inventato un falso procedimento penale: l’uomo, la cui testimonianza in aula è stata a tratti drammatica, è indotto a pagare 300mila euro per salvarsi. Lo spaccato è desolante: incontri carbonari per strada, escort a Dubai, gente che concorda false testimonianze e si registra a vicenda, opachi rapporti personali e interessenze tra professionisti insospettabili. Ma la sentenza (destinata a essere appellata) certifica la solidità dell’impianto accusatorio della Procura di Lecce: così come fatto dal gup Cinzia Vergine nell’abbreviato ai danni di Savasta e Scimè (condannati rispettivamente a 10 e 4 anni), anche i giudici del dibattimento hanno riconosciuto la credibilità dei racconti di D’Introno (che hanno trovato «ampio riscontro») e la genuinità di quanto detto nelle registrazioni di fine 2018 con Savasta.

«L’obiettivo di far rientrare l’imprenditore in possesso dei suoi beni (quote societarie, immobili, somme di denaro) – riconoscono i giudici – è a ben guardare la garanzia del’ottenimento delle tangenti per l’intero gruppo criminale». In questo esisteva un «modus operandi ideato dal Nardi e fatto proprio dal Savasta»: il pm «con la collaborazione del Di Chiaro», l’ex ispettore di polizia condannato a 9 anni, aveva messo in piedi «un sistema di “scatole cinesi”» con i fascicoli di indagine, «mediante il deposito – previamente concordato col Nardi – di notizie di reato o istanze contenenti notizie urgenti in giorni nei quali egli è di turno, con conseguente assegnazione automatica del relativo procedimento». Iniziative a cui dava «veste giuridica» l’avvocato Simona Cuomo, condannata a 6 anni.

Il Tribunale ha ridimensionato l’entità delle tangenti pagate da D’Introno (100mila euro in contanti a Nardi, 500mila a Savasta, 70mila a Di Chiaro, 75mila a Scimè, 300mila alla Cuomo «formalmente corrispondenti a onorari»). Nardi (che come Savasta è ai domiciliari) ha millantato l’intervento sui vari colleghi chiamati a giudicare le vicende penali di D’Introno: il Tribunale di Lecce ha considerato i vari episodi come singoli reati in continuazione, così concedendo all’ex gip la prescrizione per i fatti più vecchi (da qui lo sconto di pena di alcuni mesi rispetto alle richieste di condanna della Procura). D’Introno ha detto di aver speso complessivamente tre milioni di euro, soldi che non sono stati trovati, ma il Tribunale ha da un lato valorizzato «la continuità e la costanza dei prelievi di denaro contante» dai conti correnti, e dall’altro ha ritenuto sufficienti le parole dell’imprenditore con i riscontri: «Si pensi alle fatture attestanti i viaggi fatti dal Nardi presso l’agenzia di viaggi del Tarantini, a quelle relative all’acquisto del materiale per la ristrutturazione della villa di Capirro, al contratto di comodato sequestrato al Nardi e recante la sottoscrizione del D’Introno» per dare veste giuridica ai rapporti patrimoniali tra i due, contratto ritenuto falso. Il dibattimento ha fatto emergere le frequentazioni oscure di Nardi, compreso «un prete dedito a pratiche di esorcismo presso il quale l’imputato portava suoi conoscenti».

Uno degli episodi centrali del processo, quello del Rolex Daytona: D’Introno aveva detto che era un regalo per i 50 anni di Nardi, smentito però da una sua amica, Rosa Grande, che aveva prima confermato questa versione salvo poi presentarsi a testimoniare in aula con un Rolex Daytona («L’ho avuto da D’Introno per il mio compleanno, mi ha chiesto lui di mentire»). I giudici l’hanno ritenuta inaffidabile: anche se aveva in mano lo stesso orologio «non dimostrerebbe alcunché rispetto all’originaria destinazione dello stesso essendo trascorsi oltre quattro anni dai fatti».

 

Utilizzando il sito o eseguendo lo scroll della pagina accetti l'utilizzo dei cookie della piattaforma. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Altervista Advertising (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Advertising è un servizio di advertising fornito da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258859 Altervista Platform (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Platform è una piattaforma fornita da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. che consente al Titolare di sviluppare, far funzionare ed ospitare questa Applicazione. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258716

Chiudi