Le “famiglie” baresi, fanno squadra con quelle molfettesi

fonte: https://www.giovinazzoviva.it

«Una pax per la droga tra i Di Cosola e i Diomede»

Sono legati ai clan baresi dei Di Cosola e dei Diomede, i destinatari delle 17 ordinanze di custodia cautelare eseguite ieri mattina dai Carabinieri fra i territori comunali di Trani, Molfetta, Bitonto e Giovinazzo. Accusati a vario titolo per traffico di stupefacenti, tentato omicidio e minaccia aggravata.

«I Pappagallo, ad esempio, – ha spiegato il capitano Vito Ingrosso durante la conferenza stampa di ieri – sono legati al clan Di Cosola di Bari». La famiglia barese, originaria del quartiere San Girolamo del capoluogo e vicina al clan Lorusso, gruppo criminale in violenta contrapposizione al clan Campanale, «s’è insediata alcuni mesi fa a nord di Bari, dapprima a Giovinazzo e poi a Molfetta. E proprio in quei due comuni la situazione è iniziata a mutare moltissimo».

«La famiglia Pappagallo – ha detto ancora Ingrosso -, composta da Saverio Pappagallo, Laura Zaccaria e Giuseppe Pappagallo ha iniziato a creare una fitta rete di legami con i pusher del luogo e con Michele Arciuli, facendo sempre riferimento ai Di Cosola. Poi, spostandosi a Molfetta, ha intrecciato i propri affari con altri pusher presenti in zona, ma legati al clan Diomede e quindi alla famiglia De Bari, storicamente presente sul territorio».

Secondo quanto emerso dalle indagini, entrambe le famiglie (i Pappagallo da un lato e i De Bari dall’altro) avrebbero optato per una sorta di pax mafiosa con l’obiettivo di spartirsi gli interessi economici: «Attraverso le frequentazioni e le permanenze in carcere – ha proseguito Ingrosso – le due famiglie sono riuscite a lavorare senza pestarsi i piedi, attraverso una sorta di suddivisione del territorio con lo scopo di non creare problemi a nessuno».

Ma la pax mafiosa è stata stroncata dall’instancabile lavoro dei militari dell’Aliquota Operativa diretta dal luogotenente Sergio Tedeschi. I militari, infatti, nel corso dell’indagine hanno sequestrato nel 2015 a Giuseppe Pappagallo una pistola giocattolo, modificata, e dunque abile a far fuoco, e nel 2014, invece, a carico di Gianfranco Del Rosso addirittura un fucile mitragliatore kalashnikov privo di matricola, entrambi nelle disponibilità del clan.

«Ringrazio i miei uomini per l’impegno che hanno profuso nel corso dell’attività, arrestando e denunciando decine di persone», il messaggio di riconoscenza del capitano Ingrosso agli uomini del Nucleo Operativo, uomini low profile capaci di “intercettare” e ricollocare come in un puzzle l’intera indagine. Uomini semplici, ma allo stesso tempo eroi che vivono in silenzio, riferimento per infondere sicurezza ai cittadini, che adempiono il proprio dovere in modo anonimo.

Uomini coraggiosi, che hanno lavorato in silenzio per ben due anni, col massimo sforzo, con tanta umiltà, tanto amore e tanta abnegazione. Uomini da ammirare, perché anche se dovesse crollare tutto, la gente della Compagnia di Molfetta sa che loro ci saranno sempre, immancabilmente qui, presenti.

Il gip di Trani: “Indagati, sprezzanti delle regole del vivere civile”

Staccate le panchine del parco di Ponente per festeggiare un compleanno

fonte: http://www.molfettalive.it

I comportamenti delle persone coinvolte nel blitz che, ieri, ha portato all’arresto di 17 persone per traffico di droga e tentato omicidio tra Molfetta e Giovinazzo, “appaiono del tutto distonici rispetto alle norme di legge, oltre che delle minime regole di vita civile. Essi dimostrano una visione delle relazioni umane improntate a sfruttamento delle peggiori esigenze altrui, come il consumo di sostanze stupefacenti”. Lo scrive il gip del Tribunale di Trani, Francesco Messina, nell’ordinanza di 200 pagine che si conclude con l’emissione di 12 misure cautelari in carcere e 5 ai domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico. La richiesta della pm Silvia Curione ha riguardato complessivamente 20 persone, ma solo per 17 sono state applicate misure cautelari.

L’inchiesta subisce una svolta, nel novembre 2015, con l’arresto di un 26enne per spaccio di stupefacenti e detenzione di arma clandestina. In particolare, il ragazzo aveva iniziato a collaborare con gli inquirenti per poi cambiare idea. Ma, tra le altre cose aveva raccontato che, la sera del 12 settembre 2015, dopo l’agguato fallito a Cosma Damiano Grosso durante la fiera di Molfetta, il barese Nicola Abbrescia (tra i destinatari della misura cautelare in carcere) si sarebbe recato a casa minacciandolo di morte se non avesse nascosto a casa della nonna la mitraglietta, quella usata per il tentato omicidio. Inoltre, la natura del tentato omicidio sarebbe stata di natura passionale – secondo quanto raccontato sempre dal 26enne ai carabinieri – perché Abbrescia aveva scoperto contatti telefonici tra la sua compagna (Maria Fiore) e Grosso, all’epoca “suo carissimo amico”.

La conferenza stampa a Trani sull'operazione dei carabinieri

La conferenza stampa a Trani sull’operazione dei carabinieri © Livenetwork.it

Ma in merito all’attività degli indagati, rappresentata dal traffico e spaccio di droga, il gip rileva come venga prospettata dagli stessi come “valoriale”: nelle intercettazioni parlano spesso di “lavorare”, riferendosi allo spaccio di droga. E questo appena usciti dal carcere o nonostante fossero ai domiciliari.

E, infatti, gli indagati “non hanno altro scopo che ripetere comportamenti delittuosi sempre riferibili all’acquisizione e vendita di droga sul territorio, magari affidandoli nelle modalità esecutive al fine di ottenere migliori guadagni e di sfuggire alle conseguenze della legge”.

Riguardo al disprezzo delle regole del vivere civile questo si manifestava davvero in ogni singola condotta della vita quotidiana. In una conversazione telefonica Nicola Abbrescia dice a Domenico Ponte (anche lui finito in carcere), avvenuta la sera dell’1 maggio 2016, dice di stare al parco di Ponente a Molfetta “a festeggiare…il compleanno di Michele”. “…Stiamo bene qua, non stiamo a capire niente, stiamo a staccare tutte le panchine nel parco”. I danni provocati al teatro del parco di Ponente sono stati poi accertati dai militari.

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