La crudeltà il vero volto della mafia del Foggiano: 9 morti su 10

fonte: Gaetano Campione – www.lagazzettadelmezzogiorno.it
La crudeltà il vero volto della mafia del Foggiano: 9 morti su 10

Un buco nero. Come in quei pezzi di universo dove le leggi tradizionali dell’astrofisica non valgono più. Per capire la Quarta mafia, quella foggiana, bisogna pensare ad un buco nero al cui interno vive e prospera la rete di traffici illegali di un’economia ombra trasformata in forza dirompente da complicità, sottovalutazioni, tolleranza.
Le analisi parlano di 30 clan (un migliaio di affiliati) che operano su un territorio visto come una mucca da mungere. Sono violenti, crudeli, determinati perché hanno fretta di emergere, di farsi conoscere, di entrare in una nuova dimensione del crimine, quella globalizzata. Giuseppe Gatti è un magistrato della Dda di Bari. Durante un convegno a Foggia spiega.

«Il 90% dei morti di mafia garganica non hanno più il volto. Devono essere uccisi, ma non solo, devono essere cancellati. Gli si spara in faccia a distanza ravvicinata per sfigurarli. Che significa togliere la memoria. Togliere il volto. Lo stesso vale per la lupara bianca. Non restituire la salma alla famiglia significa cancellare, non solo uccidere».

Familismo e modernità vanno a braccetto, rappresentano il binomio vincente della Piovra dauna. Secondo l’Eurispes l’indice di organizzazione criminale, cioè quanto il territorio è più permeabile ai tentacoli del malaffare, in questa zona è del 67,4. Mentre nel capoluogo pugliese si ferma al 40,9. Inoltre Foggia si trova agli ultimi posti nelle classifiche della qualità della vita elaborate dal Sole 24 ore sui dati di 107 Comuni italiani: penultima nella classifica generale, 103ma per sicurezza e giustizia. 100ma per le rapine commesse, 104ma per le auto rubate, 92ma per la lunghezza media dei processi.

E’ questione di tempo. I segnali, secondo gli analisti, vanno tutti in una direzione: la saldatura tra la Società foggiana – così è chiamata la criminalità organizzata del capoluogo – ridimensionata dai risultati ottenuti da magistrati e investigatori e la mafia dei Montanari, quella che imperversa sul Gargano, in ascesa. Il collante? Il nuovo business senza frontiere, quello della marijuana. Sulle coste intorno a Manfredonia arrivano tonnellate di droga grazie a quell’autostrada del mare che è ritornato ad essere il Canale d’Otranto. I carichi milionari proseguono per i mercati europei e sono il frutto di un’alleanza strategica con la criminalità dei Balcani: dall’altra parte dell’Adriatico partono i gommoni velocissimi che giocano a rimpiattino con gli scafi della Guardia di Finanza. Ancora dati. Solo il 5 per cento della droga che arriva via mare finisce nella rete tesa dagli investigatori. E l’anno scorso sono state sequestrate in Capitanata 30 tonnellate di marijuana. Se questo è solo il 5 per cento, si capisce come un fiume in piena si riversa sulle coste del Gargano, con approdi preferiti la zona dei laghi e il litorale di Manfredonia.

Ma quanto si guadagna? Tanto, tantissimo. Un grammo di marijuana in Albania costa tra i 2 euro e 50 centesimi e i 3 euro. Al dettaglio viene piazzata sul mercato a 10 euro. Ma questo aspetto del business è lasciato agli spacciatori più piccoli, spesso africani, nigeriani e ghanesi. Quando a Borgo Mezzanone viene arrestato Yusif Salia, il ghanese di 32 anni, accusato di aver drogato, stuprato e ucciso, Desirée Mariottini, la Polizia gli sequestra una pistola giocattolo, 11 chilogrammi di marijuana, 200 grammi di hashish e 4 flaconi di metadone. Il quantitativo di «erba» vale almeno 30mila euro. Segno di come nel «ghetto» ci siano i contatti e le complicità giusti per acquistare la droga. Difficilmente, però, a finire in manette sono i foggiani. Perché loro governano il sistema, lo gestiscono. Insomma, comanda chi controlla la costa, chi ha i legami, molto stretti, con gli albanesi di Saranda e il distretto di Argirocastro, da dove partono i gommoni. I foggiani scaricano e caricano su camion e furgoni . Niente depositi stabili. Nella logistica ci sono anche i clan calabresi presenti nel Molise. E’ la ‘Ndrangheta che ha aperto le porte dei mercati della Lombardia e di Bologna, dove la numerosa popolazione studentesca consente di incrementare il tradizionale consumo di stupefacenti leggeri.

Droga e racket delle estorsioni rappresentano la linfa vitale dell’Impero sotterraneo, anche se non c’è lo stesso giro d’affari di Cosa nostra. La Dia, nell’ultima relazione disponibile, quella del primo semestre 2018, ha fotografato così la realtà criminale: «La tradizione è quella del “familismo mafioso” tipico della ‘Ndrangheta e della ferocia spietata della Camorra cutoliana; la modernità, invece, è la vocazione agli affari, la capacità di infiltrazione nel tessuto economico-sociale, la scelta strategica di colpire i centri nevralgici del sistema economico della provincia, e cioè, l’agricoltura, l’edilizia e il turismo».

Le relazioni, però, quando vengono pubblicate, raccontano quello che è successo ieri. Fermano lo scatto ad una realtà lontana., forse superata, o comunque in continua evoluzione. E la lotta contro il tempo è vitale. Cambiano gli scenari, gli equilibri. I nomi no. Sono sempre gli stessi da sempre: Sinisi-Francavilla contro Moretti-Pellegrino-Lanza. Poi ci sono gli Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. La provincia è nelle mani dei Libergolis, Nardino, Romito. Ogni Comune ha il suo «buco nero»: Ciavarella-Tarantino (Sannicandro), Di Claudio-Mancini (Rignano), Di Summa-Ferrelli e Cursio-Padula (Apricena), Alfieri-Primosa Basta, Libergolis, Frattarulo e Ricucci (Monte Sant’Angelo, Vieste e Manfredonia), Prencipe (San Giovanni Rotondo), Martino (San Marco in Lamis), Gentile (Mattinata), ex Notarangelo (Vico del Gargano), Di Tommaso e Piarulli-Ferraro (Cerignola), Masciavè (Stornara), Gaeta (Ortanova), Bayan-Papa-Ricci, Cinicola, ex Tedesco e Barbett (Lucera), D’Aloia, ex Palumbo, Salvatore, Russi e Testa-Bredice (Torre Maggio).

Questi ultimi quattro presenti anche a San Severo. Ludovico Vaccaro è il procuratore capo di Foggia. Il generale dell’esercito dei buoni, impegnati a ripristinare e a difendere il senso di legalità nel buco nero. Tocca a lui riaffermare la legge e la forza dello Stato in un territorio dove negli ultimi 30 anni sono stati registrati 300 omicidi, l’80% dei quali impunito. Lui è più forte della non speranza. Si è rivolto alla gente chiedendo di rompere quella cappa di omertà mista a paura che alimenta il buco nero.

Con i fatti (leggi operazioni e blitz) ha ridotto la distanza tra Stato e cittadini. Il ragionamento è semplice. Se si vuol combattere la Piovra del malaffare, bisogna fare i processi. Per fare i processi servono le prove. E le prove arrivano non solo dall’attività investigativa, ma anche dal contributo dei cittadini. Così all’offensiva del racket delle estorsioni, Vaccaro risponde con la videosorveglianza. Oggi la vittima dell’estorsione o del danneggiamento, si sente isolata e abbandonata. Ha paura e non denuncia. Invece con un sistema efficace di videosorveglianza si possono individuare gli autori dell’attentato, le persone che entrano in un’attività commerciale per chiedere il classico «contributo per i carcerati». Allora la fonte di prova diventano anche le immagini delle telecamere e la vittima non si sente più sola e abbandonata. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, nella recente visita alla Prefettura di Foggia, dopo le verifiche amministrative disposte sui Comuni di Cerignola e Manfredonia, ha riconosciuto: «A lungo abbiamo sottovalutato la pervasività e l’incisività delle organizzazioni criminali nel Foggiano». Lo Stato, però, si è svegliato. Lo dimostrano le ultime operazioni di contrasto allo strapotere della illegalità, l’apertura di una sezione dei Ros dei Carabinieri e di un distaccamento dei «Cacciatori di Puglia», sulla base delle esperienze già maturate in altri teatri difficili, come Sardegna, Calabria e Sicilia. Il controllo del territorio diventa determinante in questa partita a scacchi. 

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