Giudice arrestato a Bari, caccia ai complici: sospetti sulle armi del clan

La procura di Lecce sta passando al setaccio tutti i particolari dopo la scoperta dell’arsenale nella masseria in provincia di Bari. Il sospetto di collegamenti con la criminalità organizzata – di Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

La Procura di Lecce è sulle tracce dei complici del giudice Giuseppe De Benedictis nell’allestimento dell’arsenale di armi da guerra nella masseria di Andria e nel suo utilizzo. Arsenale illegalmente detenuto e altrettanto illegalmente messo insieme, grazie alle conoscenze sul mercato nero e a un’enorme disponibilità di denaro, considerato che a una prima valutazione approssimativa il valore dei pezzi ritrovati – tra mitragliatori, pistole, mine, silenziatori, cartucce – viene stimato in almeno un milione di euro.

Non è un caso che l’inchiesta sulle armi si intrecci con quella sulle tangenti, che l’avvocato barese Giancarlo Chiarielloavrebbe pagato al magistrato per fare scarcerare alcuni suoi assistiti, finiti in carcere per reati di mafia. La posizione di entrambi è estremamente delicata: arrestati per corruzione in atti giudiziari, la Procura contesta loro anche l’aggravante dell’aver agevolato un sodalizio mafioso, sanno bene che collaborare con la giustizia è l’unico modo per ottenere i domiciliari.

Perché le prove a loro carico sono già schiaccianti: intercettazioni telefoniche e ambientali inequivocabili e i soldi trovati addosso al giudice (5.400 euro) dopo l’incontro del 9 aprile con l’avvocato. Molto meno rispetto a quanto nel 2019 era stato trovato a carico degli ex magistrati di Trani, Antonio Savasta e Michele Nardi, il primo ai domiciliari dopo tre mesi grazie a una serie di ammissioni, il secondo in carcere per un anno e mezzo. Chiariello per il momento non ha chiesto alcun alleggerimento della misura cautelare mentre l’istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati di De Benedictis è stata rigettata.

A dimostrazione che i magistrati di Lecce (sia i pm che la gip) sono convinti della gravità della situazione, resa ancora più surreale dall’intreccio con la storia delle armi, sulle quali sono in corso le indagini della Squadra Mobile di Bari.

Se pure le perizie balistiche devono ancora essere effettuate, dai primi accertamenti è apparso evidente che non si tratta di armi nuove ma già utilizzate. Tutte erano perfettamente custodite, pulite e funzionanti, molte con matricola abrasa o illeggibile. Tale particolare è l’elemento che ne certifica la provenienza illegale. Sul motivo per cui il giudice molfettese le avesse nascoste nella masseria dell’imprenditore andriese Antonio Tannoia non c’è certezza ma sul fatto avesse necessità di occultarle non ci sono dubbi.

Sono state infatti trovate in una botola profonda quattro metri, alla quale si accedeva tramite una scala in ferro da un’apertura nel pavimento di un capanno realizzato dietro la masseria di Tannoia. Il manufatto era protetto da porte in ferro e da un sistema di allarme, all’interno composto da tre vani, uno dei quali munito di una botola occultata da un mobile della cucina e protetta da una pesante lastra in cemento, a sua volta foderata dallo stesso tipo di pavimentazione della stanza.

Una serie di accorgimenti che denotano la volontà di occultare il magazzino e che hanno indotto il gip di Trani Ivan Barlafante a disporre per Tannoia la custodia cautelare in carcere. Secondo il magistrato è inverosimile che l’imprenditore avesse semplicemente dato in uso la stanza segreta a De Benedictis, al quale era legato da una lunga amicizia. Piuttosto, “le peculiarità strutturali della stanza e la presenza della botola fanno ipotizzare che sia stata predisposta per la custodia del materiale bellico”.

Pezzi dall’enorme valore economico, proprio perché di provenienza clandestina ma adesso saranno le perizie a dire di più. Il sospetto è che tra i fornitori di tali armi ci siano stati anche esponenti della criminalità organizzata, considerata la mole di materiale, la maggior parte del quale è di provenienza estera, non essendo mai stato in dotazione a corpi militari italiani. Come sia finito in quella botola e quando e perché sia stato utilizzato, probabilmente si saprà nei prossimi giorni.

 

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