Forconi, sette arresti e cinquanta indagati per le violenze dello scorso dicembre

di GIOVANNI DI BENEDETTO – bari.repubblica.it

Le accuse sono pesanti: violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e minacce. A poco più di un mese dai disordini che misero in ginocchio l’Italia, c’è una svolta nell’inchiesta aperta dalla procura di Trani all’indomani delle manifestazioni, spesso “disordinate” che facevano capo al movimento dei Forconi e a quello chiamato poi con il nome di “Comitato 9 dicembre”. All’alba sette persone sono state poste agli arresti domiciliari, diciotto sono state sottoposte all’obbligo di dimora per le minacce e le violenze contro i commercianti dello scorso dicembre.

GLI ARRESTATI – Ai domiciliari sono finiti Riccardo Lotito, Giuseppe Bisceglie, Francesco Marulli, Nicola Inchingolo, Nicola Lomuscio, Giuseppe Zaccaro e Roberto Calvi. Si tratta dei manifestanti che nei giorni più caldi della protesta, il 9 e il 10 dicembre scorso, impedirono l’apertura del centro commerciale “Ipercoop” di Andria obbligando le cassiere e i dipendenti ad uscire. Non solo, secondo l’accusa sarebbero gli stessi che provocarono disordini sia nel centro di Andria che nella vicina Barletta.

GLI INQUIRENTI – “Facinorosi”. Così li ha definiti il procuratore capo di Trani, Carlo Maria Capristo. “Violenza, intimidazione e minacce” sono stati i metodi, ha riferito il procuratore aggiunto Francesco Giannella, utilizzati dagli arrestati per convincere direttori di banca, commercianti e semplici cittadini a partecipare ai cortei o comunque, ad aderire alle ragioni sostenute dal movimento. “L’uso stesso della parola sciopero è stato un abuso da parte di queste persone che non hanno colto il senso costituzionale del diritto allo sciopero”, ha aggiunto Giannella.  Alcuni tra gli arrestati appartengono agli ultras “ovvero a quel gruppo di soggetti che va allo stadio non per tifare ma per creare disagi”, ha aggiunto Capristo e ha chiarito: “Tra di loro c’è anche chi ha precedenti penali di rilievo”. Le minacce hanno riguardato anche a poliziotti e carabinieri “scesi in strada per salvaguardare l’incolumità dei cittadini”, ha spiegato Capristo.”Ricorderete come le mamme si davano alla fuga preoccupate per i loro bambini. Si trattava quindi di una situazione che meritava una riposta data in tempi celeri”. “Le indagini sono state molto delicate perché si sono guardati i video registrati dalle telecamere. La collaborazione da parte della gente c’è stata ma fino a un certo punto perché avevano paura”, ha continuato il procuratore capo e ha concluso: “l’inchiesta non è finita, questa è una prima tranche. L’avevamo promesso in sede di comitato per l’ordine pubblico, la stiamo mantenendo e andremo avanti quindi, nei prossimi giorni, ci saranno anche altri provvedimenti perché non ci fermiamo qui”.

LE INDAGINI – Sono stati identificati dalla polizia grazie alle immagini delle telecamere di videosorveglianza nelle vicinanze dei luoghi dove avvenivano i disordini. Nella rete degli agenti, coordinati dal magistrato Luigi Scimè, ci sono finiti personaggi insospettabili ma anche volti noti alle forze dell’ordine che proprio per il loro “spessore” avrebbero avuto un ruolo fortemente persuasivo nei confronti di chi protestava. Le misure cautelari sono state eseguite dalla polizia: 17 ad Andria e otto a Barletta. Complessivamente sono una cinquantina gli indagati la cui posizione è al vaglio della magistratura. I reati contestati sono di violenza privata, minaccia e resistenza a pubblici ufficiali. Un numero che potrebbe aumentare.

LE INTERCETTAZIONI – “Se non chiudete, spacchiamo tutto”, “chiudete o qua finisce male, spacchiamo tutto”, “bastardi chiudete, uscite fuori”. Sono alcune delle frasi minacciose – riportate nell’ordinanza firmata dal gipfrancesco messina – e proferite dagli arrestati. Parole dirette al direttore di una delle filiali di banca Credem di Andria e alla direzione di un centro commerciale di Barletta nonché a negozianti e semplici cittadini che, nel dicembre scorso, non stavano partecipando alle manifestazioni organizzate dal movimento dei forconi.

L’ORDINANZA – Secondo quanto scrive il gip del tribunale di Trani Francesco Messina nell’ordinanza di custodia cautelare “non esistono dubbi che l’occasione della protesta su scala nazionale, ha costituito l’occasione per l’intervento evidente, non occulto, di soggetti che per altri e personali fini, non hanno avuto alcun rispetto per l’autorità dello Stato, le regola della corretta convivenza civile e libertà di scelta degli altri”. Non solo. Prosegue il gip spiegando che “gli episodi che si sono verificati”, si legge, “non possono che essere esaminati considerando una distorta chiave interpretativa dell’agire umano secondo cui, in determinati contesti, la valutazione della realtà e delle scelte per mutarla sono gestite da una minoranza di soggetti le cui decisioni vengono imposte con la forza dell’intimidazione, della violenza e della minaccia, alla rimanete parte, anche maggioritaria della collettività”. Messina scrive di “un approccio alla vita di relazione inaccettabile che, pur se originato dalla crisi culturale del tempo, non può divenire una sorta di nuova regola comportamentale in grado di sostituire i principi che sono alla base del vivere civile tra i quali spiccano il rispetto della libertà di autodeterminazione della persone e i limiti previsti per l’esercizio di alcuni diritti, pur garantiti dalla massima legge dello Stato”. In pratica nelle carte dell’inchiesta si evince come la libertà di manifestare non può mai portare attraverso condotte illecite alla lesione di beni e interessi degli altri, tutelati dall’ordinamento. “Di conseguenza”, prosegue il gip, “non possono essere legittimate forme di manifestazione del pensiero e di protesta che, indicendo un clima di terrore diffuso, permettano ad alcuni soggetti di gestire il tempo e lo spazio di altri cittadini che, rispettosi delle leggi, orientano la propria condotta e le relazioni umane secondo ben diversi criteri”. La conclusione è perentoria: “i provvedimenti adottati rispondono”, è scritto, “all’esigenza di chiarire in modo in equivoco i criteri del corretto agire sociale; di indicare l’indispensabile punto di equilibrio tra le legittime rivendicazioni personali o di categoria e la tutela dei diritti di tutti”.

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