Dopo 42 anni riaperta l’inchiesta sull’omicidio di Benedetto Petrone

 

Riaperta l’inchiesta su Petrone. I testimoni tornano in Procura

fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Concorso in omicidio: quello di Benedetto Petrone. E’ l’ipotesi di reato attorno alla quale sta muovendo passi concreti l’inchiesta sulla morte del diciottenne militante comunista, ucciso a coltellate davanti alla prefettura da esponenti dell’estrema destra barese il 28 novembre 1977. Dopo 42 anni si cerca di rimettere insieme i pezzi di una verità scritta soltanto in parte. E riaperta grazie al lavoro di Repubblica, che in occasione del 40esimo anniversario della morte di Benny, con un’inchiesta di Giuliano Foschini e il video-racconto “Benedetto” curato con la nostra collega Antonella Gaeta, svela nuovi dettagli sulle indagini mai fatte quarant’anni fa.

 
 prima parte

Nelle scorse settimane il procuratore aggiunto Roberto Rossi e la pm Grazia Errede hanno ascoltato alcune persone informate sui fatti: testimoni che in quella maledetta sera d’autunno e nei giorni immediatamente precedenti hanno vissuto insieme con Benedetto il clima di alta tensione fra i militanti di destra e di sinistra, con manifestazioni in vari luoghi della città, ronde nere e aggressioni neofasciste. Agli atti dell’indagine, necessari per la riapertura, anche la relazione dell’avvocato Michele Laforgia, il quale ha raccolto gli elementi che “rendono lacunosa e incompleta l’indagine condotta quarant’anni fa“. I fatti, nonostante il tempo trascorso sia molto, sono stati raccontati in maniera circostanziata e con dovizia di particolari e altre persone saranno ascoltate nelle prossime settimane. Contestualmente i magistrati stanno rileggendo tutta la documentazione raccolta nelle indagini dell’epoca e vagliando gli atti giudiziari alla ricerca dei particolari che potrebbero non essere stati tenuti nella giusta considerazione. 0 delle responsabilità che potrebbero essere state sottovalutate. L’inchiesta, al momento a carico di ignoti, non è sicuramente delle più semplici. Perchè il percorso giudiziario seguito subito dopo l’omicidio è stato tortuoso e le mezze verità portate a processo hanno ingarbugliato ancora di più le carte. E anche perché la prescrizione potrebbe avere cancellato una serie di reati. Che l’aggressione a Petrone (e all’amico Franco Intranò, giunto a soccorrerlo e ferito da una coltellata a un polmone) era chiaro fin dal principio. Ma l’unico a essere individuato con certezza, e poi condannato a 22 anni e mezzo (in appello ridotti a 16 anni) per omicidio, fu l’esponente di Ordine nuovo Giuseppe Piccolo, all’epoca 23enne, che nel 1984 morì suicida nel carcere di Spoleto.

Nelle ore successive al delitto, del resto, sei rappresentanti del Fronte della gioventù furono fermati dalla polizia: tre di loro confessarono e furono rilasciati, gli altri tre invece furono indagati per l’ipotesi di favoreggiamento. In quei giorni caldi — in cui a Bari 30mila persone scesero in piazza per dire no alla violenza fascista — la Procura ordinò la cattura di Piccolo e la questura fece chiudere le sedi del Movimento Sociale e del Fronte della Gioventù. Proprio nel-la sede provinciale del MSI fu trovato il coltello usato per assassinare Petrone. Al termine dell’inchiesta parallela a quella sull’omicidio, 15 persone finirono sotto processo per la ricostruzione del partito fascista ma soltanto sei di loro furono condannate. E mentre Piccolo latitava per mezza Europa (il 17 novembre 1978 fu arrestato a Berlino ovest), la magistratura barese fece finire sul banco degli imputati altri sette missini, ai quali contestò solo il reato di favoreggiamento, per aver cercato di coprire — con le loro testimonianze falsate — l’uomo che affondò il coltello colpendo a morte Benedetto. Due dei coimputati furono salvati dall’amnistia, perché all’epoca dei fatti erano minorenni, e gli altri furono condannati a pene tra sei mesi e un anno e mezzo.

Dell’aggressione squadrista al gruppo di comunisti in cui si trovava il diciottenne, alla fine, non rispose nessuno. La famiglia Petrone dovette arrendersi a una ricostruzione soltanto parziale ma la rassegnazione, in realtà, non è mai stata totale e la riapertura dell’indagine è stata accolta con favore. Come ha testimoniato più volte Porzia Petrone, presenza immancabile alle commemorazioni per il fratello, com-presa quella del 28 novembre scorso, durante la quale il sindaco Antonio Decaro auspicò la chiusura della sede di Casa Pound in via Eritrea. A distanza di pochi giorni arrivò il sequestro nell’ambito dell’inchiesta che contestava a una trentina di persone il reato di apologia del fascismo e a una parte di loro l’aggressione a esponenti antifascisti.

               

seconda parte

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