Doni e mazzette ai pm “A Trani la giustizia serviva a fini personali”

fonte: CHIARA SPAGNOLO – rep.repubblica.it

Le carte che hanno portato in carcere i magistrati Nardi e Savasta. Con l’elenco dei regali elargiti nel corso degli anni

Di che cosa stiamo parlando

L’ex pubblico ministero della Procura tranese Antonio Savasta, ora giudice del tribunale di Roma, e il suo collega Michele Nardi, pm a Roma, e in precedenza gip a Trani e magistrato all’ispettorato del ministero della Giustizia, sono stati arrestati e condotti in carcere su disposizione della magistratura salentina. Le accuse sono di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falsoper fatti commessi tra il 2014 e il 2018, quando erano in servizio a Trani.

Una tangente da 2 milioni di euro chiesta dall’ex giudice tranese Michele Nardi a Flavio D’Introno, un imprenditore di Corato, una settimana prima della sentenza: è soltanto una delle immagini di «una giustizia asservita ai fini personali», riprodotte nell’ordinanza firmata dal gip Giovanni Gallo su richiesta del procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone de Castris, e della pm Ro- berta Licci. Oltre a Nardi e Savasta è finito in carcere anche Vincenzo Di Chiaro, un ispettore di polizia in servizio al commissariato di Corato, mentre l’interdizione è stata disposta per gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfregola (di Bari e Trani) nonché per l’immobiliarista barlettano Luigi D’Agostino, amico di Tiziano Renzi (padre dell’ex premier Matteo). Gli altri indagati sono Francesco Saverio Palmentura, Gianluigi Patruno, Vincenzo Caterina, Michele Valente, Giuseppe Mastrorilli, Vincenzo, Domenico e Giuseppe D’Introno, Anna Cannillo, Pasquale Nesta, Francesco Gadaleta. Per l’imprenditore D’Introno non è stata disposta alcuna misura, ma quella mazzetta da 2 milioni sembra essere soltanto la punta di un iceberg.

Regali e minacce

Sotto ci sono regali costosi fatti a Nardi da D’Introno, come un orologio Daytona da 34mila 500 euro e due diamanti da 27mila, un viaggio a Dubai da 10mila euro, la ristrutturazione della casa romana per 130mila euro e la costruzione della villa di Trani per altri 600mila. Ma anche le minacce di morte, l’ombra della massoneria e dei servizi deviati. E altre mazzette, per un ammontare di 300mila euro, pagate a Savasta da D’Introno insieme con regali, cene, perfino un’automobile. Stessa storia con Luigi D’Agostino (l’immobiliarista di Barletta amico del già citato Renzi senior), che elargiva regali a botte di 25mila euro a volta tramite l’avvocato Sfrecola. Mentre i due magistrati avrebbero promesso soldi all’imprenditore (50-60mila euro, secondo quanto risulta dall’inchiesta) per aiutarlo a non rivelare il sistema di cui aveva fatto parte e lo avrebbero esortato a fuggire all’estero. Consigli che D’Introno non ha accettato, alla fine, scegliendo di collaborare con la Procura.

La confessione

«Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, un milione e mezzo comprensivo dei regali a Nardi», ammise Flavio D’Introno, che spiegò di avere conosciuto il giudice tramite un amico comune: «Lui si fida di me, mi disse. Quindi se tu paghi, lui ti risolve il fatto». «Solo per incontrarlo dovetti sborsare 30mila euro, mi disse “stai tranquillo” ma dopo mi arrestarono». Dopo il secondo arresto, lo stato d’animo di D’Introno era peggiorato e il magistrato ne approfittava: «Mi diceva che la situazione era grave, che mi dovevo affidare a lui e, siccome ero stressato, mi disse di partire insieme. Io proposi una beauty farm nella zona, ma lui volle andare a Dubai». A seguire, ancora dazioni di denaro: «Aveva diverse amanti e per mantenere il tenore di vita mi disse che gli servivano 500 euro al giorno». «Gli consegnavo soldi ogni dieci, quindici giorni», fino alla richiesta più assurda: «Due milioni da dividere tra i tre giudici d’appello prima della sentenza». E con Savasta la campana era la stessa. «Per il processo con le false testimonianze ha ricevuto 20mila euro — prosegue la confessione — e 30mila per la convocazione dell’assemblea sindacale delle Ceramiche De Nicola. Il denaro proveniva dalle mie attività commerciali: un milione e mezzo era il nero che avevo messo da parte di nascosto, una parte era su un conto in Svizzera».

Le intercettazioni

«Lui se la fa con il magistrato… gli ha levato i soldi il magistrato, è uno alto, brizzolato», dicevano nel novembre 2015 i titolari di un discount a Canosa riferendosi a D’Introno, dal quale avevano in affitto alcuni locali, e a Nardi. E da lì partì l’inchiesta. Al termine della quale D’Introno, stremato dalle richieste dei magistrati, decise di smascherarli. Tanto da registrare un colloquio avuto il 1° novembre scorso con Savasta («presumibilmente registrava anche lui», scrive il gip), che gettava fango su Nardi: «Lui è la mente occulta, un mostro». E consigliava la fuga: «Te ne devi andare via, se viene fuori tutta questa roba ce ne dovremo vergognare a vita». Concetto ribadito qualche giorno più tardi: «Il merdaio tu non lo devi fare, perché sto pure io in mezzo». E anche nel terzo incontro in cui si parlava dei soldi per la fuga: «Io che ti posso dare, 2mila euro? — diceva il pm a D’Introna — Nardi ti deve uscire i soldi, lui ha la possibilità economica di farlo». Con l’imprenditore che lo pregava di aiutarlo: «Io i soldi li ho dati a tutti voi, ora li chiedo indietro perché mi aspettano cinque anni di carcere».

I falsi processi

Organizzati da Nardi e costruiti da Savasta con l’aiuto di Di Chiaro per colpire i nemici di D’Introno o chi testimoniava contro di lui. «False annotazioni di polizia e false testimonianze — scrive il gip — venivano usate strumentalmente per minare i testi». O per togliere l’imprenditore dai guai, come accadde nel caso della richiesta milionaria dell’Agenzia delle entrate, che Savasta trasformò in un processo contro due messi comunali di Trani accusati di falsificazione delle notifiche. O addirittura, per fare la guerra ai suoi familiari e realizzare un «golpe aziendale», come nel caso del sequestro di 6 milioni di euro disposto ai danni del padre di D’Introno, della sorella e del cognato. Nella predisposizione dei falsi processi un ruolo fondamentale era svolto dall’ispettore di polizia e dall’avvocatessa Simona Cuomo, che avrebbe dovuto anche essere nominata amministratore dell’azienda di ceramiche che era stata sottratta da D’Introno ai familiari.

La fuga di notizie

Nardi sapeva su cosa stava indagando la Procura di Lecce fin dal 2016, perché riferì a Introna di avere fonti che glielo raccontavano. Disse addirittura di conoscere il capo della Procura e che «la dottoressa Licci per quell’inchiesta si sarebbe fatta male a causa di esposti fatti tramite i Servizi se- greti deviati», come riferì D’Introno. L’inchiesta fu blindata, però, e la richiesta di arresto scritta e valutata velocemente per il timore che Nardi e Savasta potessero alterare prove e minacciare testimoni. Nell’orbita dei due magistrati figurano anche carabinieri e finanzieri corrotti, ma non identificati. 

E poi altri giudici e pm: «Nardi diceva che poteva ricattare tutti, perché aveva dei dossier sui loro scheletri nell’armadio». «Potevano condizionare il sistema giudiziario nel quale lavoravano — scrive il gip — tanto da godere a lungo di una sostanziale impunità».

La Procura di Trani

In realtà più d’uno sapeva che in quegli uffici c’erano magistrati che aprivano indagini ad hoc per colpire i nemici dei loro amici, che rallentavano processi o interferivano con le decisioni dei colleghi. La questione emerse in un’indagine su due gruppi criminali contrapposti, nella quale una testimone sve- lò “il sistema Nardi-Savasta”. Successivamente il pm Marcello Catalano inviò una relazione all’allora procuratore facente funzioni Francesco Giannella: appena emerse il coinvolgimento dei due giudici in vicende poco chiare e «lo stabile asservimento dei pubblici ufficiali a interessi personali», una parte dell’inchiesta fu stralciata e inviata a Lecce.

Il poliziotto

Viene considerato dal giudice Gallo «il braccio operativo di Savasta» e si precisa che anche lui viene in qualche modo retribuito. A Di Chiaro il pm affidava i lavori sporchi senza passare per i suoi dirigenti, alcuni dei quali consapevoli dell’iter non proprio regolare. «Non lo deve sapere nessuno che ti hanno affidato le cose ad personam, senza passare da me, capito?», diceva al so- vrintendente il suo capo. «Una consuetudine consolidata — si legge nell’ordinanza — del poliziotto che ometteva di informare i superiori in via gerarchica e, in alcuni casi, firmava in loro vece». Il tutto aveva come fine «la gestione programmata delle vicende giudiziarie di D’Introna», l’imprenditore arrestato due volte e che era disposto a sborsare qualunque cifra pur di evitare di finire di nuovo in carcere dopo la condanna.

Maxi inchieste e immagini osé ecco tutti i veleni della Procura

LECCE – È una delle Procure delle quali il Consiglio superiore della magistratura, il Csm, si è occupato con maggiore frequenza negli ultimi anni: Trani, teatro di esposti incrociati tra magistrati, denunce da parte di indagati, segnalazioni della Procura di Lecce e della Procura generale di Bari. E, a cascata, procedimenti disciplinari e trasferimenti. A leggere le centinaia di pagine del Csm sembrano un vero e proprio verminaio gli uffici giudiziari dai quali negli anni scorsi sono partite inchieste scottanti come quelle sulle agenzie di rating (da Moody’s a Fitch e a Standard&Poor’s) e sulle le banche (le italiane Mps, Bnl, Unicredit, Credem e Intesa San Paolo e la tedesca Deutsche). Senza dimenticare quella che partì da un presunto giro di usura e finì portando alla luce le pressioni di Silvio Berlusconi sui vertici Agcom per far chiudere la trasmissione televisiva Annozero di Michele Santoro. E se molte di quelle indagini non superarono la prova dei processi, altre si trasformarono in boomerang che colpirono gli stessi magistrati in servizio a Trani, vittime di controdenunce da parte di alcuni indagati e, a volte, di una guerra senza esclusione di colpi tra colleghi. Il primo a finire sulla graticola, molti anni fa, fu proprio Antonio Savasta, denunciato dall’ex socio Giuseppe Di Miccoli per presunti illeciti commessi nella ristrutturazione della Masseria San Felice a Bisceglie. Il caso degli ampliamenti nell’ambito del resort accese i riflettori su un’altra serie di abusi che sarebbero stati commessi con la complicità di funzionari del Comune di Bisceglie, due dei quali sono stati rinviati a giudizio con Savasta e i suoi fratelli. In bilico fra il gossip e l’illecito penale si snodò invece la vicenda che ebbe come protagonista Michele Nardi e la collega Maria Grazia Caserta, prima legati da un’amicizia molto intima e poi nemici giurati. I due avevano viaggiato insieme e scattato foto, poi la relazione era finita ed erano partite le denunce. Lui sosteneva di essere stato preso a colpi di borsetta, lei di avergli sentito dire «se ti incontro per strada, ti devo murare viva». Il processo a Lecce finì con l’assoluzione per entrambi, ma il Csm fu meno magnanimo e dispose il trasferimento. Un altro polverone si alzò quando su Facebook fu scovata una foto che ritraeva la pm Simona Merra mentre a una festa si faceva leccare un piede dall’avvocato Leonardo De Cesare. Era luglio del 2016: pochi giorni prima 23 persone erano morte nello scontro fra treni nelle campagne tra Andria e Corato. Merra coordinava l’inchiesta e De Cesare era l’avvocato del capostazione Vito Piccareta, uno dei principali indagati. L’imbarazzo fu tale che la pm lasciò l‘indagine. E il Csm continuò ad acquisire carte su Trani. Su quella Procura in cui, al di là dei singoli episodi, sembrava esistere un sistema in cui molti riuscivano a «conseguire vantaggi economici» anche grazie alla rete di conoscenze fra sostituti procuratori che operavano in città, avvocati, appartenenti alle forze dell’ordine, amministratori locali e imprenditori. Tale rete, secondo il Csm, avrebbe più volte influenzato l’inizio e lo svolgimento delle indagini, nel senso che quelle su persone »amiche» spesso sarebbero state archiviate o neppure iniziate, mentre in altri casi le indagini avrebbero costituito uno strumento di pressione per conseguire vantaggi, soprattutto economici, per sé o per altri «sodali» e pregiudizio per gli «avversari». Di pressioni, del resto, parlarono anche due testimoni dell’inchiesta sulla tangentopoli tranese, accusando i pm Michele Ruggiero (oggi a Bari) e Alessandro Pesce di avere usato metodi poco ortodossi per costringerli ad accusare alcuni indagati. Per la Procura di Lecce la denuncia era solida, al punto che i due magistrati sono finiti sotto processo. E il Csm dovette occuparsi anche di un caso giudiziario-letterario: il romanzo “Frammenti di storie semplici” scritto dal giudice Roberto Oliveri del Castillo, già in servizio a Trani, nelle cui pagine furono in molti a cogliere riferimenti a personaggi della Procura tranese. Nel tritacarne delle denunce è finito anche Luigi Scimè, ex pm per cui il Csm propose il trasferimento per incompatibilità ambientale (così come per Savasta). A pesare su quella scelta contribuirono anche le parole pronunciate dalla procuratrice generale barese Anna Maria Tosto: «La Procura è oggetto di una serie di segnalazioni che dimostrano, nella loro sistematicità, l’esistenza di una condizione diffusa di disagio nell’ambito dell’utenza giudiziaria tranese». – ch.sp.

 

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