Dalla vecchia coca alle nuove psicoattive: viaggio tra le droghe della generazione 2000

 

fonte: http://espresso.repubblica.it/inchieste – DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE 

Per Nico il weekend aveva il suono sincopato della musica tekno e il sapore amaro di una striscia da sniffare. Una riga bianca composta da speed e ketamina. La prima è polvere di anfetamina, dall’odore di prato appena tagliato. La seconda è un anestetico per cavalli. Effetti opposti mischiati in un’unica botta. Come la speedball, eroina e cocaina insieme, un’altra delle tante ricette fai da te che girano oggi. I rave party tra le valli dell’Appennino tosco-emiliano sono stati per parecchio tempo l’unica ossessione per Nico, 17 anni appena compiuti.

Come per Gigi e Teo, che di anni ne hanno 16 e le feste hanno iniziato a frequentarle appena usciti dalle scuole medie. «Si tenevano in un luogo che rimaneva segreto fino a poche ore dall’inizio», raccontano, «poi iniziava il passaparola via smartphone». Nel buio dei boschi o in capannoni industriali abbandonati fuori città, il martellare dei bpm li accompagnava fino al giorno dopo. Notte, mattina, pomeriggio e ancora notte.

Le pasticche mandate giù come fossero caramelle. Eccitazione, risate, viaggi psichedelici. Oggi Gigi e Teo vivono in una struttura di recupero in provincia di Roma. È il lato oscuro del disagio giovanile. Il down, che quasi nessuno vuole vedere, dei ragazzi nati dopo il 2000. Minorenni fantasma, come lo sono stati gli eroinomani negli anni ’80. Ma con una differenza. Alla radice dello sballo di Nico, Gigi, Teo e di tanti altri adolescenti con cui L’Espresso ha parlato in giro per il Paese (il patto per farsi raccontare le loro storie è di usare rigorosamente nomi di fantasia) non c’è alcun punto di riferimento ideologico.

La maggior parte di loro è alla ricerca di una sostanza che possa farli eccitare o rilassare, prepararsi a fare sesso o a ballare per venti ore consecutive, sentirsi in pace con il mondo o più semplicemente – e molto spesso – dimenticare per qualche ora le emozioni dolorose. Facile, oggi più che mai. Perché la gamma a disposizione per raggiungere l’obiettivo è praticamente infinita. Dalle droghe tradizionali ai farmaci più comuni. Fino alle sigle da piccolo chimico, decine di composti che ogni anno entrano silenziosamente sul mercato, spesso sconosciuti persino alle forze di polizia.


Non esiste luogo migliore dei rave per studiare i mutamenti delle droghe. Proprio sulle feste illegali a base di musica tekno e goa si sta infatti concentrando un progetto finanziato dalla Commissione europea. Si chiama Baonps, è stato avviato quasi due anni fa e punta a scoprire, attraverso l’analisi chimica, quali sono le sostanze che girano tra i giovani.

In gergo tecnico si chiamano nsp: “Nuove sostanze psicoattive”. Composti talvolta nemmeno inclusi nelle tabelle ufficiali del ministero della Salute. E dunque ufficialmente legali. Proprio come nel film Smetto quando voglio, in cui un gruppo di ricercatori universitari precari inonda le discoteche romane con una sostanza non ancora classificata come droga, in tutta Italia si stanno moltiplicando casi di questo genere. Una tendenza preoccupante, perché gli effetti a lungo termine sulla mente e sul corpo di chi le assume sono ignoti. I risultati della ricerca – di cui fanno parte tra gli altri la onlus Alice e il Cnca – dicono che su oltre 300 campioni di droga analizzati la maggior parte conteneva mdma e ketamina. Non certo delle novità per chi conosce il mondo dello sballo.

Più preoccupante è stato scoprire che in un caso su tre la droga non corrispondeva a quella che il consumatore pensava di aver acquistato. È il caso per esempio della 4-fluoroamfetamina, spacciata al posto della più classica anfetamina. O del
25I-NBOMe
, venduto come se fosse Lsd. La differenza non è banale. Mentre gli acidi non hanno mai causato morti dirette, quest’ultimo composto ha già provocato 25 vittime fra Europa e Stati Uniti. «Il mercato della droga è in continuo aggiornamento, produce sempre nuove sostanze», ricorda Riccardo De Facci, vicepresidente del Cnca, che tiene a sottolineare: «Analizzando le sostanze diamo la possibilità ai ragazzi di sapere cosa assumono. Infatti, in oltre il 50 per cento dei casi, chi scopre di aver comprato qualcosa che non si aspettava decide di buttare via la sostanza».

La chimica resta in fondo alla classifica delle droghe più utilizzate dai ragazzi italiani. In cima alla lista svettano di gran lunga hashish e marijuana. Anche qui però ci sono alcune novità rispetto al passato. L’età a cui si inizia a fumare, sempre più precoce. La potenza del thc (principio attivo della cannabis), che secondo l’ultimo rapporto dell’Unione europea sul tema è aumentato di oltre il 50 per cento fra il 2006 e il 2014. E la velocità con cui molti ragazzi passano a droghe più pesanti.

Nella casa di recupero La Torre, a Modena, incontriamo cinque minorenni disposti a raccontarci la loro storia. Hanno dai 15 ai 17 anni e tutti sostengono di aver iniziato a fumare canne già alle medie. Alberto dice di aver cominciato a 13 anni. «Hashish e marijuana sono state la mia risposta al bullismo, un modo per non pensare alle prese in giro continue e alle minacce che ho subìto», ci confida. In terza media fumava già 10 grammi al giorno, un anno dopo andava ai rave e si mangiava gli acidi. Poi è arrivato l’oppio, la ketamina, la speed, la cocaina, la mescalina. «Ho provato quasi tutto», racconta con un certo orgoglio davanti ai suoi compagni di comunità. Marco Sirotti, psicologo, di casi come quello di Alberto ne ha visti a decine.

È il coordinatore dell’Area Dipendenze Patologiche del Ceis, un consorzio che raggruppa associazioni e cooperative attive in tutta l’Emilia Romagna. «Alla base dello sballo c’è quasi sempre un trauma, una personalità fragile, e questa è una caratteristica indipendente dall’epoca in cui viviamo. Lavorando qui da 20 anni, però, posso dire che qualcosa è cambiato nel rapporto fra minorenni e droga. Prima le sostanze erano legate quasi sempre alla ribellione nei confronti della società considerata bigotta e borghese, oggi invece vengono usate spesso per vincere la noia, per migliorare le prestazioni. Infatti i ragazzi che seguiamo sono quasi sempre poliassuntori, cioè usano droghe diverse a seconda dell’effetto di cui hanno bisogno».

Faceva così anche Martino, classe 2000, da oltre un anno entrato in una comunità di recupero alle porte di Bologna. Anche la sua è stata un’escalation rapidissima. «Fino alla seconda media si dedicava anima e corpo all’atletica leggera, andava all’oratorio, poi ha iniziato a uscire con alcuni amici, figli di buone famiglie bolognesi, e sono cominciati i problemi». Angela, la mamma di Martino, ci racconta la sua storia seduta in un bar di via Zamboni, nel centro storico del capoluogo emiliano. A solo un anno di distanza dalla prima canna, il ragazzo era già passato all’eroina, fumata e sniffata, che oggi si compra per circa quaranta euro al grammo e viene venduta anche in dosi minime, in alcuni casi anche da 10 euro. Come la madre del sedicenne di Lavagna suicidatosi dopo la perquisizione in casa della Guardia di Finanza, anche Angela ha deciso di denunciare il figlio.

«Appena ho avuto il sospetto che oltre alle canne avesse iniziato a usare altro ho deciso di farmi aiutare», ricorda: «Sono andata dalle forze dell’ordine, loro mi hanno consigliato di sottoporlo a un controllo in ospedale e così ho fatto: i medici hanno riscontrato un uso di oppiacei, il Sert lo ha preso in carico e da lì è andato in comunità». Angela lo racconta con gli occhi velati dalle lacrime, ma ci tiene a sottolineare che non se ne vergogna affatto: «Bisogna agire con cautela, il figlio deve capire che il genitore sta soffrendo e non l’ha tradito. È inoltre fondamentale trovare dei poliziotti intelligenti e sensibili, capaci di capire la delicatezza della situazione. Detto questo, la cosa più importante è farsi aiutare».

Ragazzini che, in fondo, vorrebbero soltanto essere ascoltati. E non c’è differenza di ceto. Nelle comunità si ritrovano fianco a fianco figli di professionisti e ragazzi di vita. Da Bologna a Roma. «Il mio Toni ha iniziato a drogarsi a 14 anni», racconta con la voce spezzata dall’emozione Giulio, manager di un’importante multinazionale italiana. Ai suoi ragazzi non è mancato mai nulla, figli della upper class bolognese. Eppure il più grande dei due ha imboccato una strada senza ritorno: «Nel suo gruppo avevano iniziato a fumare e sniffare l’eroina. A soli 15 anni. A quel punto ho fatto una scelta dolorosa, l’ho denunciato ai carabinieri per la droga trovata a casa. E dopo l’ennesimo ricovero in pronto soccorso è entrato in comunità».

I giovanissimi che l’eroina la sniffano o la fumano non si identificano però con il tossicomane che si buca. Nonostante i danni siano identici e la dipendenza comunque immediata, tutti i ragazzi incontrati da L’Espresso ci hanno tenuto a precisare che loro mai avrebbero osato usare una siringa. Un metodo soft di assunzione, spesso suggerito dagli stessi spacciatori, che crea l’illusione di poter mantenere il controllo. Giulio è convinto, ci spiega, che dietro l’assunzione compulsiva di sostanze non ci sia alcun movente politico o trasgressivo: «È un abuso figlio del consumismo, una bulimica ricerca di effetti diversi. In più di fronte a modelli che tendono alla perfezione, i nostri ragazzi vivono con una bassissima autostima, e credono che lo sballo sia la soluzione più rapida».

Luca ha una storia molto diversa dal figlio di Giulio. Lui viene dalla strada. È cresciuto tra i palazzoni di cemento della periferia della Capitale. A 14 anni la sua prima striscia di coca. Essere su di giri per compiere rapine. «Facevo parte di una banda e la cocaina era all’ordine del giorno, non è più la droga dei ricchi», racconta seduto nella sala colloqui della comunità per minori Il Ponte, a Civitavecchia. Ora che è seguito dagli operatori del centro, però, Luca ha capito che la sua vita era una finzione: la sensazione di onnipotenza solo una grande illusione, un imbroglio mortale. Che siano sempre più giovani i ragazzi finiti nel giro delle droghe pesanti lo conferma la responsabile della comunità di Civitavecchia, Laura Zanatti, che aggiunge: «Da noi arrivano solo quelli che hanno una volontà concreta di cambiare vita. In questo momento vivono qui in 34. È un percorso che serve e aiuta a trovare una propria strada. Al momento in 7 frequentano l’università e nel corso del tempo abbiamo avuto 35 laureati, che oggi lavorano».

Gli studi sul tema dicono che i minorenni italiani usano le droghe più abitualmente rispetto a molti altri coetanei di nazioni vicine. Secondo l’ultimo rapporto Espad – progetto europeo di indagini sulle droghe – l’Italia è il secondo Paese (dopo la Francia) per utilizzo di cannabis tra i ragazzi di età compresa fra i 15 e i 16 anni. E siamo ai primi posti anche per le nuove sostanze psicoattive. Differenze geografiche a parte, quando si cerca di indagare sui motivi della tendenza, sono in molti a puntare il dito sui cambiamenti sociali. Secondo Boze Klapez, pedagogo del Ceis ed educatore attivo da anni con i minori dipendenti da droghe, «è il sistema tradizionale dei valori che è venuto meno. Nella società liquida, come l’ha definita Bauman, i punti di riferimento risultano più sfumati, e non solo per i giovani. Molti genitori mi sembrano disorientati, impotenti davanti ai loro figli. Spesso queste caratteristiche coincidono con un permissivismo eccessivo e un conflitto tra scuola e famiglia, dove quest’ultima non di rado si pone a tutela del minore e in contrasto con i professori».

Infiltrandosi nei rave per analizzare le droghe, gli operatori delle organizzazioni italiane che partecipano al progetto Baonps hanno riscontrato un altro dato allarmante. In circa il 10 per cento dei casi analizzati, hanno scoperto che i ragazzi stavano per ingerire farmaci invece delle droghe. Non stiamo parlando di sostanze tagliate: si tratta proprio di farmaci usati al posto delle sostanze tradizionali. Una tendenza riscontrata anche fuori dalle feste illegali. Nel nostro giro per l’Italia diversi ragazzi e operatori ci hanno raccontato che è sempre più comune, fra i giovanissimi, assumere medicinali per sballarsi. Droghe d’entrata, le chiamano gli esperti. Con un vantaggio apparente: tutto è legale, a portata di mano, spesso basta guardare in casa nell’armadietto dei medicinali. Fra i farmaci più usati per sballarsi c’è la codeina, uno sciroppo a base di oppiacei, ma anche ansiolitici come Tavor, Valium e Xanax. Alcuni raccontano che ultimamente fra i ragazzi più piccoli va di moda sniffare l’Oki, un antidolorifico. «A differenza del passato ora i giovani trovano un sacco di consigli su internet, ci sono addirittura i tutorial su come sballarsi», spiega lo psicologo Marco Sirotti.

In rete, a dire la verità, si può anche comprare. Basta cercare sugli smart-shop: veri e propri negozi virtuali dove acquistare sostanze naturali con effetti simili alle droghe pesanti. Molti di questi siti hanno base in Olanda, Unione europea. «Un mio amico ha trovato online una confezione di changa e ce la siamo fumata», ci spiega Gigi, che ricorda le avventure psichedeliche prima dell’entrata in comunità, a Civitavecchia. La changa è un allucinogeno naturale estratto da alcune piante come la mimosa. «L’effetto è un “viaggio” di pochi secondi, ma sembrano ore», assicura Gigi. Una fumata a portata di clic. Ordini online, inserisci i dati della carta di credito (magari di mamma o papà) e la droga ti arriva comodamente a casa. Più facile che comprare un pacchetto di sigarette.

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