Crac del deposito franco al porto di Bari, indagato anche Cassano

Per dieci anni ha gestito nel porto di Bari un deposito franco doganale da cui venivano effettuate anche forniture alle missioni Nato nel Mediterraneo. La Work System è fallita nel novembre 2016 lasciando dietro di sé un buco da 8 milioni di euro di imposte non pagate, e per la Procura di Bari si tratterebbe di una bancarotta fraudolenta: è questa l’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini che il pm Giuseppe Dentamaro ha fatto notificare nei giorni scorsi a cinque persone. Tra loro c’è anche Massimo Cassano, che della Work System è stato amministratore unico dal 2002 al 2008, dunque molto prima della nomina a sottosegretario al Lavoro e dell’attuale incarico di direttore generale dell’Arpal (l’agenzia per il lavoro della Regione Puglia).

L’inchiesta condotta dalla Finanza è stata aperta ad aprile 2020 e si muove in un terreno molto complesso dal punto di vista normativo come quello del commercio con l’estero in esenzione di imposta. Negli scorsi anni la Work System era stata sottoposta a una verifica fiscale da cui era emerso il mancato pagamento dell’Iva, ma la relativa cartella è stata poi annullata dalla Commissione tributaria con sentenza confermata anche in appello: i depositi franchi – che a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice doganale europeo non esistono più – godevano di un particolare regime fiscale, cioè la sospensione di Iva e dazi sulle merci destinate all’esportazione. Un esempio sono appunto le forniture per le missioni militari in Libano per cui la Work System aveva contratti con il ministero della Difesa. L’azienda barese (che gestiva spazi anche nelle aree doganali di altri porti pugliesi) nel frattempo è fallita, e una relazione del curatore, Ornella Latartara, ha segnalato una serie di possibili irregolarità tra cui la sparizione di una parte dei documenti contabili.

E’ per questo che la Procura contesta al liquidatore della Work System, Francesco Noviello, 62 anni, di Bitonto, l’accusa di bancarotta per distrazione. Oltre ad aver fatto sparire circa 130mila euro di denaro dai conti correnti, il ragioniere – si legge nel capo di imputazione – «per nascondere la gestione opaca e dolosa della società fallita sottraeva e distruggeva (anche mediante omessa istituzione) i libri e le altre scritture contabili obbligatorie (…) e tutto il resto della contabilità da luglio 2016 sino al fallimento». Per Cassano e per le altre quattro persone che nel corso degli anni si sono avvicendate come amministratori della società l’accusa è invece di concorso in bancarotta fraudolenta perché «omettevano sistematicamente il pagamento dell’Ires, dell’Iva e dell’Irap sino a raggiungere debiti per otto milioni anche per effetto di sanzioni e interessi che erodevano completamente il patrimonio societario».

L’avviso di conclusione delle indagini prelude normalmente alla richiesta di rinvio a giudizio. Negli interrogatori di settembre davanti alla Finanza gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ritenendo necessario prima esaminare gli atti alla base delle contestazioni. Le accuse – dicono – non appaiono fondate. «L’insussistenza dei fatti addebitati al dottor Cassano – dice l’avvocato Gaetano Castellaneta, che difende il manager insieme a Luca Castellaneta – si evince chiaramente dagli atti di indagine. Mentre il mio assistito ricopriva il ruolo di amministratore della Work System, non ha mai ricevuto la notifica di contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Pertanto, anche attraverso memorie difensive, dimostrerò la estraneità del dottor Cassano e solleciterò la richiesta di archiviazione».

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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