Le motivazioni della sentenza con cui l’ex magistrato e il penalista sono stati condannati a nove anni e otto mesi per corruzione in atti giudiziari sono pesantissime – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

C’era un accordo corruttivo «sistematico» fra l’ex giudice Giuseppe De Benedictis e l’avvocato Giancarlo Chiariello, che «non si può escludere fosse risalente nel tempo e che si sia articolato in episodi ulteriori rispetto a quelli del processo». Un accordo che ha portato all’emissione di provvedimenti di attenuazione di misure cautelari che «hanno favorito singoli soggetti, ma anche i gruppi criminali di appartenenza».

Le motivazioni della sentenza con cui l’ex magistrato e il penalista sono stati condannati a nove anni e otto mesi per corruzione in atti giudiziari sono pesantissime. In 124 pagine la giudice Laura Liguori spiega perché ha condannato quattro imputati (oltre a De Benedictis e Chiariello, il figlio di quest’ultimo Alberto a quattro anni e il pregiudicato Danilo Pietro Della Malva a tre anni e otto mesi) e ne ha assolte cinque, il carabiniere (richiesta di diritto all’oblio), l’avvocata Marianna Casadibari, i pregiudicati Antonio Ippedico e Roberto Dello Russo e l’avvocato Michele Pio Gianquitto).

Ma soprattutto conferma totalmente l’impianto accusatorio della Procura di Lecce nella parte relativa ai due protagonisti principali. Dice cioè che giudice e avvocato erano legati da un rapporto di amicizia consolidato nel tempo e che si trattava di un legame paritario, tanto che sarebbe difficile definire chi fosse il corrotto e chi il corruttore.

L’aggravante mafiosa

Nella sentenza si spiega che su alcuni provvedimenti di scarcerazione ci fu una trattativa economica e che le decisioni assunte da De Benedictis, che hanno restituito al territorio (pur se ai domiciliari) esponenti della criminalità organizzata, hanno influito su altri procedimenti in corso da parte della Direzione distrettuale antimafia di Bari. Per questo la giudice Liguori ha condannato i quattro imputati per corruzione aggravata dall’aver agevolato la mafia, escludendo l’applicazione delle attenuanti generiche e della collaborazione. Proprio in relazione alle ammissioni fatte sia dal magistrato sia dal penalista davanti ai pm, la sentenza ne ridimensiona l’importanza: «Gli interrogatori sono di contenuto meramente confessorio di fatti di eccezionale gravità, rispetto ai quali nel corso delle indagini erano stati acquisiti elementi probatori di univoca interpretazione e pertanto sarebbe risultata improbabile qualsiasi difesa». I due imputati, dice in sostanza la giudice, hanno ammesso ciò che non potevano negare, trascurando il fatto che Chiariello ha ammesso anche una dazione di denaro all’amico magistrato che non era contestata nei capi di imputazione.

Il prezzo della corruzione

I fatti per i quali De Benedictis e Chiariello sono stati condannati riguardano la concessione degli arresti domiciliari ai pregiudicati Della Malva, Ippedico e Dello Russo e all’avvocato Gianquitto. In tutti i casi ci sarebbero state dazioni di denaro (per 30mila 500 euro) ma soltanto Della Malva — oggi collaboratore di giustizia — sarebbe stato consapevole che una parte dell’onorario pagato all’avvocato sarebbe finito nelle mani del giudice e, infatti, è l’unica delle persone che sarebbero state agevolate ad essere stata condannata. Gli altri tre — ha spiegato la gup Liguori — non hanno avuto responsabilità diretta nel reato. Ovvero non erano consapevoli dell’avvenuta corruzione, ammessa sia da De Benedictis sia da Chiariello.

Le complicità

L’uomo che per la giudice era invece perfettamente consapevole di quanto succedeva era Alberto Chiariello, che è stato condannato per concorso in corruzione. Era stato lui, in più occasioni, a riferire al giudice messaggi da parte del padre e lui a consegnare una busta al magistrato davanti a un bar vicino al tribunale, sotto gli occhi delle telecamere installate dai carabinieri di Bari. «La tesi secondo la quale non era a conoscenza del contenuto della busta non è sostenibile — si chiarisce nel testo della sentenza — Il suo contributo ai fatti di corruzione è stato caratterizzato da consapevolezza e continuità piuttosto che da occasionalità». Dopo la pubblicazione delle motivazioni le difese (gli avvocati Andrea Sambati, Gaetano Sassanelli, Gianfranco Schirone, Saverio Ingraffia, Filiberto Palumbo, Fabrizio Caniglia e Marina Zanivan) avranno la possibilità di ricorrere nel giudizio di appello.