Camorra, i casalesi chiedevano il pizzo agli operai della ricostruzione dell’Aquila

– www.repubblica.it

L’AQUILA – Gli operai della ricostruzione dell’Aquila pagavano il pizzo. Il pizzo sullo stipendio. Era un’impresa legata al clan dei casalesi a imporre lo sfruttamento in dieci cantieri della città terremotata.

Metà del compenso, il trattamento di fine rapporto e i soldi della cassa edile passavano sul conto di quaranta manovali arruolati nel casertano, ma poi finivano nelle tasche di Alfonso Di Tella, imprenditore campano da anni residente all’Aquila ed esponente di spicco del gruppo di imprenditori legati a Michele Zagaria.

Oggi Di Tella insieme al fratello (Cipriano), al figlio (Domenico), a quattro imprenditori aquilani (Elio Gizzi, Michele Bianchini, Dino e Marino Serpetti) è stato arrestato dalla Guardia di Finanza dell’Aquila. Gravi le accuse mosse dal sostituto procuratore David Mancini e dal procuratore Fausto Cardella: sfruttamento ed estorsione con l’aggravante di voler finanziare il clan.

“Oltre alla ricostruzione degli edifici pubblici che, per la normativa di riferimento, offre determinate garanzie di evidenza e prevede un sistema di controlli che consente un più efficace contrasto a forme di illegalità – scrive nell’ordinanza il gip Marco Billi – ha assunto particolare importanza anche la ricostruzione privata, ossia quell’insieme di interventi edilizi (spesso complessi) realizzati con denaro pubblico ma volti a ricostruire immobili di proprietà privata. A differenza di quella pubblica, la ricostruzione privata non prevede un metodo efficiente attraverso il quale la pubblica amministrazione possa imporre all’appaltatore di indicare in anticipo la quota di lavori che intende dare in subappalto e individuare in anticipo le imprese subappaltatrici, né contempla forme sanzionatorie o comunque recuperatorie del denaro pubblico nel momento in cui si accerti che l’appalto è stato eseguito in maniera difforme da quanto pattuito nell’affidamento”.

E aggiunge: “Questa condizione di sostanziale scarsa trasparenza ha consentito all’Aquila ad alcune società (ad es. Todima s.r.l. e Domus dei F.lli Gizzi s.r.l.) di acquisire contemporaneamente un numero di appalti superiore alle proprie possibilità, affidandosi ad imprenditori in grado di organizzare tutte le attività di cantiere (che le suddette società hanno delegato ai Di Tella) ed in grado di reclutare manodopera a basso costo (sottoposta a sfruttamento attraverso condotte estorsive). Attraverso l’abbattimento dei costi realizzato, grazie all’intervento dei Di Tella, con le condotte estorsive poste in essere nei confronti dei lavoratori sfruttati, le società aquilane si sono garantite cospicui guadagni. I legali rappresentanti di queste società aquilane hanno consapevolmente e scientemente collaborato con i Di Tella in quest’opera di abbattimento dei costi in quanto le buste paga emesse della Todima s.r.l. e della Domus dei F.lli Gizzi s.r.l. erano regolari ma poi venivano consegnate in copia ai Di Tella che attivavano una sorta di contabilità parallela per conteggiare le restituzioni in denaro estorte ai lavoratori”.

“Il sistema orchestrato dagli indagati – prosegue il gip – oltre a creare un intero settore economico nel quale è riscontrabile un pesante sfruttamento dei lavoratori, ha anche alterato profondamente le regole della concorrenza ed ha inquinato sensibilmente il settore della ricostruzione privata. La riduzione dei costi è stata ottenuta attraverso il ricorso a un metodo intimidatorio nei confronti dei lavoratori attuato dai reclutatori di manodopera che hanno sfruttato connivenze ed amicizie con personaggi di spicco del clan casalese di Michele Zagaria. I lavoratori percepiscono una retribuzione solo apparentemente completa e regolare, ma sono obbligati a restituire parte di quanto ricevuto. Viene creata, in tal modo, la disponibilità di ingenti somme di denaro liquido.  Attraverso l’opera dei Di Tella, infine, il clan casalese di Michele Zagaria si presenta sul territorio di riferimento come soggetto in grado di garantire concrete e rapide opportunità di lavoro”.

L’indagine coordinata dal comandante provinciale della gdf  Giovanni Domenico Castrignanò è durata oltre due anni per far emergere come i casalesi in affari con imprenditori aquilani sfruttavano operai e soldi della ricostruzione.

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