La notizia diffusa in queste ore che nel maxiemendamento alla manovra di bilancio in discussione al Senato è stato introdotto un innalzamento delle soglie di valore degli appalti entro le quali è possibile procedere ad affidamenti diretti suscita forte perplessità e preoccupazione.
La cancellazione della soglia dei 40 mila euro e dell’obbligatorietà di indicare già in fase di gara le imprese subappaltatrici, così come l’innalzamento delle soglie che rendono possibile il ricorso allo strumento dell’offerta al massimo ribasso – tutte misure giustificate pubblicamente come necessarie per semplificare la normativa nonché per sbloccare gli investimenti e la capacità di spesa dei Comuni, in particolare di quelli piccoli – rischiano concretamente di scontrarsi con le esigenze di efficienza, trasparenza e legalità che nel settore degli appalti, servizi e forniture sono fondamentali per prevenire l’infiltrazione mafiosa e corruttiva.
Le annunciate riforme al Codice dei contratti pubblici in materia di appalti – su cui si sono espressi criticamente anche il Presidente dell’ANAC, l’ANCE, i sindacati, Fondazione Inarcassa e associazioni di liberi professionisti – si appalesano come un negativo ritorno al passato, rischiando, in concreto, di incidere negativamente sulla tutela del mercato, delle imprese sane e dei lavoratori. A questo si aggiunga il rischio di mandare all’aria anni di formazione, professionalità acquisite e buone prassi maturate tra dirigenti, funzionari e dipendenti della Pubblica amministrazione.
Il Codice dei contratti pubblici, già fatto oggetto di modifiche dopo la sua approvazione, è un complesso di norme molto delicate che è necessario conoscere attentamente prima di decidere come modificare. Pensare che le regole rappresentino un ostacolo anziché uno strumento di garanzia dei mercati e di tutela dei diritti indebolisce sensibilmente l’attività di prevenzione e di contrasto alle mafie e alla corruzione.