Gli bussano alla porta ucciso pregiudicato. Freddato sull’uscio di casa
FOGGIA – Un uomo di 47 anni, Rocco Dedda, con precedenti penali, è morto in ospedale dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco sparati da una persona non ancora identificata che ha bussato alla porta della sua abitazione e quando l’uomo ha aperto ha sparato. Dedda è morto poco dopo il ricovero in ospedale.
Secondo quanto appurato dagli agenti della squadra mobile della questura di Foggia, Dedda, legato al clan Sinesi-Francavilla, è vittima di un agguato di stampo mafioso. Quando ha aperto la porta di casa, nel quartiere Borgo Croci, alla periferia di Foggia, Dedda è stato raggiunto al torace da quattro dei numerosi colpi di pistola cal. 9 che sono stati sparati dal killer, fuggito poi a bordo di uno scooter, dove lo attendeva un complice.
Circa un’ora dopo l’agguato, i vigili del fuoco hanno segnalato alla polizia la presenza al Villaggio Artigiani di uno scooter in fiamme. Accertamenti sono in corso – secondo quanto riferisce il capo della Mobile, Roberto Giuseppe Pititto – per stabilire se lo scooter sia lo stesso utilizzato dai killer.
Cinquanta bombe carta in un garage: un arresto
BRINDISI – Aveva nascosto nel garage di un condominio in cui si trova la sua abitazione, al quartiere Perrino di Brindisi, 50 bombe carta e 700 grammi di hashish. Si tratta di Paolo Chiarella, di 50 anni, che ieri sera è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di detenzione di materiale esplodente e di sostanze stupefacenti.
Le bombe erano state posizionate su uno scaffale, mentre l’hashish si trovava in una vaschetta contenente mollette per stendere la biancheria. C’era anche un bilancino di precisione che è stato trovato all’esterno della casa, sotto la copertura di un gazebo
San Paolo, Enziteto e Carbonara la guerra è pronta a divampare
di LUCA NATILE
BARI – La stagione dei pentiti e dei processi che arrivano finalmente a sentenza sta cambiando lentamente il volto della malavita organizzata. Tre sono i quartieri che potrebbero a breve divenire teatro di conflitti per la conquista del potere: San Paolo, Enziteto e Carbonara. Partiamo da questi ultimi due regno dei Di Cosola e degli Strisciuglio.
Il fatto che il boss Antonio Di Cosola, 61 anni, detto «Strascinacuvert» fino a pochi mesi fa «leader maximo» di uno dei clan più agguerriti, ha deciso di cambiare vita e raccontare agli inquirenti i suoi segreti, per il momento non ha modificato gli equilibri interni alla «famiglia» nè compromesso la stabilità dei rapporti con gli altri clan. Uno scossone violentissimo però è arrivato venerdì dalla sentenza con cui il gup Roberto Oliveri del Castillo ha inflitto 46 condanne comprese fra i 20 e i 3 anni di reclusione al termine del processo con rito abbreviato nei confronti di presunti affiliati ai clan baresi Di Cosola e Stramaglia, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, tentato omicidio, traffico e spaccio di droga, porto e detenzione di armi da fuoco e da guerra. Il giudice ha condannato 16 imputati a 20 anni di reclusione, infliggendo pene in molti casi più elevate di quelle richieste dal pm Carmelo Rizzo.
Tra gli imputati che hanno ottenuto la condanna più alta ci sono il boss Cosimo Di Cosola, fratello di Antonio, il capo del clan, i pregiudicati Giuseppe Armenise, Davide e Antonio Bartolo, Giuseppe Pappagallo e Michelangelo Stramaglia, figlio del boss ucciso a Valenzano nell’aprile 2009. Alcuni degli imputati furono arrestati dagli investigatori della Squadra Mobile, guidati dal primo dirigente Luigi Rinella, e molti di loro sono ancora detenuti, nel luglio 2014 nel corso dell’operazione ribattezzata «Hinterland 2». L’inchiesta ha ricostruito l’alleanza tra i due clan e le gestione di traffico di armi e droga nei territori di Bari, Adelfia, Triggiano, Valenzano, Bitritto, Sannicandro di Bari, Giovinazzo, Bisceglie, Rutigliano, Palo del Colle.
Ora, nel muro di omertà eretto a protezione del potere esercitato dai Di Cosola si stanno aprendo diverse crepe. Dicono che il capofamiglia abbia deciso di alzare bandiera bianca e passare dall’altra parte della barricata per proteggere la moglie, Rocca Paladino, 49 anni, colpita da una ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’inchiesta «Pilastro» e accusata di aver gestito in assenza del marito le finanze dell’organizzazzione. La figura di Antonio Di Cosola è in declino da quando nel 2009 ha abdicato in favore del nipote Antonio Battista. Lo ha dichiarato lui stesso ai magistrati che hanno raccolto le sue dichiarazioni depositate agli atti nel processo per l’omicidio di Nunzio Mazzilli, detto «Testone», ucciso il pomeriggio del 26 giugno del 2009 a Capurso. Anche la moglie di Battista, Lucia Masella è diventata collaboratrice di giustizia alla stregua del fratellastro Paolo Masciopinto, 36 anni, nipote del «mammasantissima» Tonino.
.I pentiti stanno servendo su un piatto d’argento i segreti del clan agli investigatori, cosa che ora insieme al dispositivo della sentenza «Hinterland 2» sta facendo tremare dalle fondamenta il potere dei Di Cosola, spingendo così la famiglia lungo il viale del tramonto. Chi prenderà il loro posto? Gli strascinacuvert negli ultimi anni hanno vissuto in pace, dopo aver stretto rapporti di non belligeranza con gli altri clan in particolare con gli Strisciuglio, regnanti a Carbonara e vicini di casa molto scomodi.
Le «famiglie» baresi iscritte all’anagrafe del crimine più o meno organizzato, capaci di vantare un albero genealogico che ne certifichi il radicamento e di cui solo una risicata minoranza può esibire un vero «blasone mafioso» (attribuito da un verdetto di condanna a termine di un processo per mafia), sono affamate. Hanno allargato le rispettive zone di influenza, hanno infoltito le fila dei loro scagnozzi, con lo scopo di assumere il controllo del mercato dello spaccio e del racket delle estorsioni ma ora fremono per allargare i confini ristretti dei loro domini. Dall’analisi «sulla condizione della criminalità barese» elaborata dai detective della Dia (l’Antimafia) di Bari e riferita al Ministero dell’Interno emerge che «la politica di espansione e delocalizzazione dei clan baresi verso i Comuni della provincia» è avvenuto in maniera disordinata tanto da rendere «ancora più complesso il quadro generale. Il dato che emerge – spiegano gli investigatori della Dia – è quello dell’estrema disomogeneità e mutevolezza degli assetti, dell’assenza di strategia, obiettivi e regole di condotta stabili, della difficoltà di circoscrivere in precisi confini anche geografici ciascun sodalizio».
«Bari e la sua provincia – puntualizzano – sono esposte a realtà criminali in continua trasformazione» in questo caos non è da escludere che si inneschi una nuova guerra per la conquista del potere. Il tramonto dei Di Cosola infatti potrebbe spingere gli Strisciuglio di Carbonara ad assorbire sotto il proprio controllo anche la vicina Enziteto e gli altri domini degli strascinacuvert ossia Valenzano, Cellamare, Triggiano, Adelfia, Ceglie e Loseto. Altra nota dolente. La scarcerazione di alcuni «picciotti» e la permanenza dietro le sbarre di pezzi da novanta nei rioni dove in particolare gli Strisciuglio sono il clan dominante, pare stia creando fibrillazioni in particolare al San Paolo. Ne sarebbe conferma anche quel che è avvenuto lunedì scorso all’interno del carcere di Bari, quando è scoppiata una rissa tra detenuti e due di loro sono rimasti feriti, uno in maniera grave. Le vittime dello scontro sono soggetti di notevole caratura criminale, esponenti delle fazioni Misceo, Telegrafo e Campanale. La rissa a quanto pare sarebbe stata generata da un banale litigio, generato da inimicizie e rivalità personali ma la Procura ritiene che possa essere collegata a contrasti tra gruppi che starebbero cercando di rafforzarsi con nuove alleanze.