L’indifendibilità del petrolio e l’inutilità del sacrificio dei lucani

 
 
L’ENI ha confermato candidamente, convocata dal Governo, che quattrocento tonnellate di petrolio sono state sversate nei terreni dentro e fuori il centro oli di Viggiano a partire dal mese di agosto dello scorso anno. La contaminazione, che in quell’angolo d’Italia non è la prima e certamente non sarà l’ultima, ha interessato i corsi d’acqua che riforniscono l’invaso del Pertusillo, fondamentale risorsa idrica per Basilicata e Puglia.
La logica è sempre la stessa da quando le compagnie petrolifere hanno colonizzato la Basilicata, rendendola un colabrodo: continuare a generare profitti ad ogni costo e senza interruzione come interesse prioritario rispetto agli obblighi di tutela ambientale e sanitaria delle aree occupate.
La pesante colonizzazione da parte dell’industria petrolifera era stata presentata (e da alcuni continua ad esserlo) come miracolosa possibilità di sviluppo economico. Ma la Basilicata, il Texas d’Europa, è nel 2015 al terzo posto tra le regioni italiane per povertà relativa, condizione che interessa un quarto delle famiglie lucane. Il petrolio ha sino ad ora di fatto inibito qualunque altra possibilità di sviluppo sostenibile.
 
Tutto questo non è avvenuto senza conseguenze e sono state sottoscritte pesanti cambiali per il futuro. Secondo i dati della Scuola Sant’Anna di Pisa la Basilicata è ai primi posti in Italia per mortalità infantile (neonatale e nel primo anno di vita), un indicatore particolarmente significativo del livello di salute della popolazione. Dati dell’Istituto Superiore di Sanità hanno documentato, nei bambini residenti in val d’Agri, un eccesso di ospedalizzazioni. Siamo ancora in attesa di quantificare con precisione e completezza i danni sanitari che l’economia del petrolio ha generato in quell’area e con ogni probabilità i risultati di alcuni studi in corso confermeranno ciò che alcune “spie” negative sino ad ora accese hanno già lasciato intravedere.
 
Il sacrificio dei lucani non è servito neanche a limitare l’impatto delle compagnie petrolifere in altre aree nazionali, le trivellazioni selvagge offshore, il passaggio di gasdotti che portano idrocarburi dall’estero. Tutto ciò prosegue indisturbato, senza ostacoli e in crescendo.
L’economia dei combustibili fossili, che si parli di ricerca, di estrazione, di trasporto o di utilizzo finale (soprattutto in termini di cambiamenti climatici), genera ormai benefici solo per chi ne ha tratto e continua a trarne profitti. I pesanti costi, progressivamente crescenti, restano a carico di tutti gli altri.
Continuare a promuovere questo modello e prenderne le difese in nome di una presunta supremazia e inevitabilità energetica non ha ormai più fondamento logico. Significa restare ancorati al passato, generare insostenibilità, continuare ad ignorare le possibilità alternative che il XXI secolo e la scienza ci offrono ma anche essere corresponsabili di un disastro economico, ecologico e sanitario in alcuni casi ormai già irreversibile.

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