Bari … e la morsa della cultura “clanica”

fonte: http://www.ilmilitanteignoto.it– di Nicola Schingaro 

In questa città, episodi legati a devianza e crimine si susseguono ormai senza soluzione di continuità. E fatti abbastanza recenti (come il racket sui mercatini di Natale a Bari vecchia oppure la rapina a mano armata in una sala giochi del Libertà) ci raccontano di una cosa ben più terribile: vi sono adolescenti che – o per atteggiamento o per reati commessi – sembrano profondamente influenzati dalla cultura di clan che governano – in parte o del tutto – i loro quartieri. È una faccenda che mette i brividi. Eppure, anche rispetto a questo, c’è alla fine ben poco di cui stupirsi. In fondo, a Bari è – quasi – sempre esistita una cultura ‘clanica’ che attraverso i suoi simboli, il suo linguaggio e le sue azioni ha avuto – e ancora ha – la straordinaria capacità di permeare di sé molti tra i suoi spazi e i suoi luoghi.

Abbiamo assistito a tante guerre tra clan rivali o intestine a uno di essi. Un numero smisurato di interventi repressivi ha indebolito o frantumato quasi del tutto molti clan. Ma questi interventi sono stati insufficienti perché – è sotto gli occhi di tutti – una cultura ‘clanica’ è stata ed è rimasta fin troppo vivida in molti quartieri della città.

Un tempo, a Japigia, nei pressi de “la 45”, vi erano ragazzini in sella a vespe e a motocicli che allestivano cortei in onore del boss, quando questi usciva a passeggio con calesse e cavallo, soprattutto di domenica mattina. In tante occasioni, ci sono stati affiliati a clan pronti a sacrificare la loro vita per proteggere quella di un boss. Non è accaduto solo una volta che residenti di un quartiere (tra cui anche donne e bambini) abbiano provato a proteggere un boss o un membro del clan contro le forze dell’ordine per impedirne l’arresto – come è successo a Libertà con il pluri-pregiudicato Giovanni Cassano. Mongolfiere intitolate a famiglie malavitose vengono lanciate in cielo durante talune feste patronali, come quella di San Rocco, a Valenzano. E davvero tanto spesso abbiamo assistito a spettacoli pirotecnici (fuori dal carcere o più spesso nei quartieri) per festeggiare il ritorno in libertà di un personaggio di spicco o – ancor più – di un boss.

Tutte queste cose sono accadute e accadono anche ora.

Dacché esistono, i clan hanno portato avanti una guerra culturale – lunga e pesante – contro certi diritti fondamentali – da quello alla legalità, a quello alla democrazia, fino al più ampio ‘diritto alla città’ – che il resto dei cittadini ancora non riesce – in parte o del tutto – ad esercitare. In questa guerra, i clan usano diverse strategie con cui istituiscono e mantengono il potere: organizzazione, coercizione e violenza, reti, controllo territoriale e psicologico. E proprio queste ultime due forme di controllo sono la risorsa più importante per il loro potere.

Se certi clan hanno fatto il salto ed abbiamo assistito all’internazionalizzazione delle loro attività criminali, in genere, tutti i clan sono radicati a livello locale e dipendono dalle risorse della città e spesso anche dei comuni del suo hinterland. Le loro attività di controllo hanno sempre rappresentato e ancora rappresentano una minaccia seria, grave, alla società civile di questa città, e in tanti e differenti modi.

I clan hanno gestito e gestiscono mercati della droga e zone di spaccio in ogni quartiere. Tanto spesso vengono scoperti bazar della droga nelle loro roccaforti o in case di insospettabili. Istituiscono monopoli locali nei settori dell’economia attraverso coercizione e violenza. E gli arsenali di armi – anche – da guerra, scoperti così di frequente e in ogni dove, ci raccontano esattamente quali siano le modalità più usate dai clan per esercitare controllo e potere. Sotto le loro minacce, i commercianti (che siano negozianti o venditori nelle bancarelle dei mercati rionali), i costruttori e gli imprenditori (di aziende di ogni tipo, anche in concorrenza tra loro) sono costretti a pagare un pizzo per avere protezione, e di certo non possono competere alla pari con gli affari della Mala. Così, i clan minacciano il commercio legale e lo sviluppo economico di un’area semplicemente perché la penetrazione dei gruppi malavitosi distorce i meccanismi del mercato.

Per di più, in parte lo si è detto, controllano un territorio attraverso la loro cultura. Impongono cioè certi comportamenti e modi di pensare sui cittadini di un quartiere o di una zona al suo interno. Producono e diffondono una cultura della paura. E in assenza di alcun intervento, quest’ultima porta inevitabilmente ad un comportamento conformista, a una resa psicologica all’esercizio del potere malavitoso. Quando controllano un territorio, godono di diversi vantaggi, vale a dire, un luogo dove trovare rifugio, dove reclutare nuovi membri, dove riciclare denaro, e dove devozione, attaccamento, fedeltà o – appunto – paura, portano gruppi di residenti perfino a proteggere un boss o un membro dalle forze dell’ordine o dai clan rivali.

È soprattutto su questi gruppi di residenti (ma non solo) che i clan hanno anche la capacità di mobilitare voti in favore di un candidato politico. Non è cioè propriamente un caso se ad un certo punto un pentito come Michele di Cosola – figlio del boss dell’omonimo clan – racconta di voti pagati 50-60 euro, di 15-20 euro dati agli elettori e di guadagni di circa 4-5mila euro previsti per ciascun membro del clan.

Questo tipo di controllo è una risorsa preziosa per accrescere il loro potere anche in termini di costruzione del consenso politico: in fondo, i voti vengono mobilitati per estendere l’influenza politica dei gruppi criminali. Abbiamo assistito a certe assunzioni negli ospedali oppure nelle municipalizzate. E a tal proposito, ci dice molto anche la vicenda del boss del clan Diomede che – dopo diversi arresti per violazione della sorveglianza speciale – riesce ad ottenere permessi grazie all’assunzione in una cooperativa che gestisce per conto dell’Amiu i bagni pubblici nel suo quartiere, a Carrassi.

D’altro canto, però, anche i più resilienti restano in qualche misura psicologicamente influenzati da tutto ciò. Tanto spesso, a questa porzione più ampia di cittadini non resta altro che essere testimoni impotenti dinanzi al boss che è libero di agire come vuole nel ‘suo’ quartiere. Mentre vivono in aree dominate dalla cultura ‘clanica’, la vita quotidiana è per loro parecchio dura. Assomiglia quasi a una guerra di resistenza contro il controllo psicologico dei clan. Se non totale, questo controllo è spesso sovrastante. È una cosa ancora più terribile delle azioni criminali in sé o delle guerre tra i clan. È come avere davanti una porta chiusa che ti impedisce di vedere se fuori vi sia la speranza di un futuro diverso, migliore. Tante volte hai l’impressione che non esista una via d’uscita. Sei e ti senti tagliato fuori. E lottare per i tuoi diritti, per una tua crescita, riscatto o emancipazione, ti sembra un’impresa impossibile.

La lotta contro la criminalità organizzata è dunque di vastissima portata. Combattere questa guerra culturale è cosa complicatissima. Un cittadino, da solo, non può nulla. Diversamente, occorre unire tutti gli sforzi possibili per vincere questa guerra. C’è bisogno di una volontà politica molto forte, di una strategia di interventi di lungo periodo e di ampia portata, perché si tratta di minare alla base valori e potere dei clan, se si vuole contrastare efficacemente, frantumare, la loro cultura. In particolar modo, nei quartieri dove il modello di ruolo dominante è fornito dalla cultura ‘clanica’ la sfida è molto più dura. Lì, bambini e adolescenti esperiscono pressioni conflittuali dai diversi agenti di socializzazione (famiglia, scuola, pari e malavita). Vi è un conflitto più duro tra modelli culturali contrapposti: l’uno che promuove il cambiamento e l’altro che si oppone con forza ad esso. Si tratta di modelli che lottano tra loro per stabilire come la società debba essere organizzata: se attraverso il potere dello Stato o quello della Malavita. È quindi necessario che la politica rivendichi il controllo dello Stato sul territorio della città. Per sbriciolare il controllo della malavita sulle menti dei cittadini, la politica dovrebbe impegnarsi a promuovere lo sviluppo di una coscienza civica fondata sullo stato di diritto. La politica ha l’obbligo di ripristinare i diritti dei cittadini, primo tra tutti il loro ‘diritto alla città’. Occorre puntare su infrastruttura, welfare e cultura. E uno sforzo doppio va fatto principalmente a sostegno di famiglia e scuola. Dopodiché, consapevolezza politica, leggi adeguate, supporto e coordinamento tra le diverse forze dell’ordine, impegno della società civile, copertura mediatica, strategie contro la disoccupazione, programmi di prevenzione per minori a rischio e di recupero per quelli già devianti, istituzioni pubbliche non corrotte e ben funzionanti, e risposte internazionali coordinate, sono altre strategie pure necessarie. In caso contrario, ovvero, se nulla di tutto ciò sarà mai pianificato, allora, città che come Bari sono tormentate da una cultura ‘clanica’ che indisturbata prende terreno divenendo sempre più sovrastante continueranno ad essere lì, in una morsa che inevitabilmente si farà sempre più stretta, fino quasi a soffocarle del tutto – che questa immagine piaccia oppure no.

articoli correlati: 

Convegno: “Dov’è finita l’antimafia sociale?” – prima Parte

Convegno: “Dov’è finita l’antimafia sociale?” – seconda parte e conclusioni

Utilizzando il sito o eseguendo lo scroll della pagina accetti l'utilizzo dei cookie della piattaforma. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Altervista Advertising (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Advertising è un servizio di advertising fornito da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258859 Altervista Platform (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Platform è una piattaforma fornita da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. che consente al Titolare di sviluppare, far funzionare ed ospitare questa Applicazione. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258716

Chiudi