"Caro Estinto", la testimonianza delle onoranze funebri.

A deporre sono stati chiamati Mauro Domenico Befo, tre impiegati dell’agenzia “La Cattolica” e un maresciallo dei Carabinieri autore delle indagini

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di La Redazione (www.molfettalive.it/…)

È durata circa otto ore giovedì nel Tribunale di Trani la seconda udienza del cosiddetto processo “Caro Estinto”. Sul banco degli imputati Giuseppe Spagnoletti, titolare dell’agenzia funebre “La Cattolica”, il suo dipendente Michele Defronzo, i due operatori coordinatori professionali Vincenzo Samarelli e Domenico Bovenga, e i medici convenzionati Vito De Gennaro, Isabella Dragone, Luigi Massari ed Enrico Pansini.
Dovranno difendersi dalle accuse, a vario titolo, di associazione per delinquere, rivelazione edutilizzazione di segreto d’ufficio, falso ideologico, corruzione, concussione e peculato.

Il procedimento ha avuto origine da un’inchiesta condotta nel 2006 dai Carabinieri del Comando provinciale di Bari a cui si rivolse Mauro Domenico Befo, titolare di un’impresa di onoranze funebri per denunciare presunti intrecci tra infermieri e medici dell’ospedale di Molfetta e altre agenzie concorrenti .

E proprio Befo è comparso come teste davanti alla corte composta dai giudici Cesarea Carone (presidente), Lorenzo Gadaleta e Francesco Messina (a latere). Hanno testimoniato anche tre dipendenti dell’agenzia funebre “La Cattolica” (De Scisciolo, Angelantonio De Gennaro e Michele De Gennaro) e il maresciallo dei Carabinieri Brascia.

Nella deposizione durata all’incirca cinque ore, il maresciallo ha ripercorso le indagini condotte anche mediante intercettazioni telefoniche. Dalla sua testimonianza si è delineato il fitto sistema di rapporti tra alcuni infermieri dell’ospedale e l’agenzia di pompe funebri.
Quest’ultima, stando alle deposizioni, veniva contattata poco prima del decesso del paziente.

In riferimento alla posizione dei medici di base accusati – compiacenti o disattenti – di redigere certificati di morte basandosi sulle indicazioni dei rappresentanti delle agenzie, in alcuni casi dietro il pagamento di 25 euro, i tre dipendenti non sono riusciti a dare indicazioni né sulla presunta dazione di denaro, né sui tempi, né sui modi con cui sarebbe stata effettuata.

Nel corso del dibattimento è emerso quindi che i certificati di morte, seppur non rientranti nei loro doveri istituzionali degli accusati, non possono tuttavia essere considerati contrari ai doveri d’ufficio.

Il dibattimento è stato aggiornato al 23 dicembre. Prevista l’audizione degli ultimi testimoni del Pubblico Ministero Ettore Cardinali e l’esame di cinque della difesa (testi a discarico).

Le indagini
Le indagini, eseguite dall’Arma mediante intercettazioni telefoniche e filmati video, avevano portato nel giugno di quest’anno all’udienza preliminare, in cui il Pubblico Ministero Ettore Cardinali aveva chiesto il rinvio a giudizio per venti indagati e l’assoluzione con formula dubitativa per altri trenta.

Il presunto “sistema”
Secondo la Procura della Repubblica rappresentata dal pubblico ministero Ettore Cardinali, vi sarebbe stato una sorta di “sistema” mirato all’eliminazione della concorrenza.

Questo il meccanismo contestato dalla Procura: personale paramedico, all’interno del nosocomio, segnalava all’esterno decessi o ammalati in procinto di spegnersi contando sulla mancanza di obiezioni da parte dei congiunti riguardo alla scelta dell’agenzia funebre. Medici compiacenti o disattenti stilavano poi certificati di morte basandosi sulle indicazioni dei rappresentanti delle onoranze funebri.

In altri casi il paziente ormai deceduto veniva invece dimesso per essere trasportato in casa, dove la sua morte era poi accertata dal medico di famiglia e poi dalla Ausl. Operazione che, se effettuata in ospedale, sarebbe stata più lenta per via dell’attesa delle 24 ore prima della consegna della salma alla famiglia.

Scopo del presunto “sistema” era quello di eliminare la concorrenza. Tra le accuse formulate ad alcuni medici, quella di aver percepito 25 euro per redigere certificati di morte.

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