
di Raffaella Fanelli – blog.panorama.it
È stato arrestato all’aeroporto di Bangkok, in Thailandia, Vito Roberto Palazzolo, considerato il tesoriere di Totò Riina e Bernardo Provenzano. 64 anni, originario di Terrasini, deve scontare una condanna a nove anni per associazione mafiosa. Il suo nome era inserito nella lista dei trenta super ricercati del ministero dell’Interno. I suoi dati compaiono nella scheda numero 15. Panorama.it ha intervistato il boss prima del suo arresto.
Lei è stato accusato di gestire e riciclare i tesori di Riina e Provenzano, ha mai incontrato i due boss siciliani?
Non ho mai gestito i patrimoni e men che meno i tesori di Riina e Provenzano. Questa affermazione è priva di riscontri ed evidenze processuali. E non è piacevole essere indicato come vicino ai due capi mafia, a due criminali che peraltro non ho mai incontrato.
Nessun contatto con la mafia. Allora perché è stato condannato nel 2009 per associazione mafiosa?
È in corso un processo di revisione. Nel 1992 ero già stato giudicato con questa accusa. E assolto.
Se non ha niente da temere perché si è nascosto in Sudafrica sotto falso nome?
Non mi sono nascosto… io ho scelto di vivere in Sudafrica. Così come ho scelto di usare il cognome della mia bisnonna, una principessa russa chiamata Kolbatschenko, dopo una regolare richiesta approvata dalle autorità sudafricane 24 anni fa.

Già… la bisnonna. Eppure in Sudafrica Vito Roberto Palazzolo ci arriva il 26 dicembre del 1986 con un passaporto falso intestato a un certo Stelio Domenico Frapolli. All’aeroporto di Johannesburg sbarca da latitante. Evaso durante un permesso di 36 ore concesso da un carcere elvetico dov’era detenuto per riciclaggio.
Stavo scontando una condanna a tre anni. Con giudici che hanno riconosciuto che ero stato costretto a violare la legge sul trasferimento di somme di denaro dagli Stati Uniti alla Svizzera, a causa di minacce ricevute
L’inchiesta è quella condotta negli anni Ottanta dal giudice Giovanni Falcone e da Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di New York, la cosiddetta Pizza Connection, la prima grande inchiesta internazionale su Cosa nostra. Falcone accusò Palazzolo di essere il cassiere dei corleonesi: “Accuse basate su dichiarazioni di pentiti, e mai provate”.
Cosa si aspetta dal processo di revisione?
Mi aspetto giustizia, una giustizia che mi viene negata da più di 25 anni.
Allora perché non torna in Italia e non fa valere i suoi diritti nelle aule di giustizia?
Perché sarei arrestato senza avere alcuna possibilità di dimostrare niente.
Quindi non ci sarà il prossimo 7 giugno a Caltanissetta …
Ovviamente no.
Ovviamente. E ovviamente si dichiara innocente anche dall’altra accusa che secondo indiscrezioni le sarà a breve contestata: quella di aver ucciso Agostino Badalamenti, nipote di don Tano…
Anche qui è un pentito a parlare. Non ci sono prove.
Lei conosce chi la sta accusando? Conosce Rosario Giaimo?
Non ricordo di averlo mai incontrato.
Eppure Rosario Giaimo, per gli amici Saruzzu, originario anche lui di Terrasini così come don Vituzzo, dallo scorso ottobre ha iniziato a collaborare con i giudici svelando i retroscena di oltre 40 anni di mafia. E ha parlato in particolare dell’omicidio commesso nel 1984 in Germania, a Solingen, e da sempre attribuito ad Antonino Ventimiglia.
Secondo le dichiarazioni di Saruzzu Agostino Badalamenti sarebbe stato assassinato per mano sua, non solo, dice che lei avrebbe agito per conto di Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Un’assurdità. Non sono un assassino. E comunque, ad oggi, il mio avvocato, Baldassarre Lauria, non mi ha informato di niente.
E’ vero che ha ospitato in Sudafrica Mariano Tullio Troia? Sapeva di avere in casa uno dei luogotenenti di Riina nonché mandante dell’omicidio del deputato democristiano Salvo Lima?
Ci sono processi che hanno dimostrato la presenza di Mariano Troia in Sudafrica negli anni ‘60 dove fra l’altro si è sposato. Ci sono ancora i suoi familiari che vivono a Johannesburg. Questa negligente affermazione è arrivata dalla fertile e deviata fantasia di un poliziotto sudafricano che scambiò il mio difensore dell’epoca, l’avvocato Nino Mormino con il Troia, del resto come si evince dalle fotografie i due si somigliano
E a chi assomiglierebbero Giovanni Bonomo e Giuseppe Gelardi?
Non erano latitanti o fuggitivi quando sono stati miei ospiti. Viaggiavano regolarmente con i loro passaporti italiani. Un particolare confermato dal mio legale. Del resto durante il loro soggiorno a Città del Capo, il Bonomo si recava regolarmente a Parigi. Questo episodio fa parte del mio processo di revisione e quindi sub judice, preferisco lasciare le dovute spiegazioni al mio difensore. Ribadisco che Bonomo e Gelardi non erano affatto latitanti quando sono arrivati in casa mia, né li avevo mai incontrati prima del loro arrivo in Sudafrica.
Però conferma che sono stati in casa sua?
Per affari, certo. Per organizzare il commercio dei miei vini dal Sudafrica all’Italia.
Perché lei vende vini?
Anche. Svolgo soprattutto un’attività di consulenza finanziaria, di ingegneria finanziaria nel campo minerario.
È sposato… ha figli?
Ho due figli dal mio primo matrimonio con una cittadina tedesca, di Amburgo, città dove ho studiato e dove mi sono specializzato in portafoglio estero. In seconde nozze ho sposato una cittadina israeliana naturalizzata sudafricana, Tsirtsa Grunfeldt.
Le autorità americane, il procuratore Giuliani e l’ex capo dell’Fbi Freeh, le avevano offerto l’immunità negli Usa, perché?
Perché avevano capito attraverso le loro indagini che nel caso denominato Pizza Connection io avevo rivestito un ruolo marginale, totalmente incidentale che giustificava la concessione dell’immunità processuale in cambio di alcune mie dichiarazioni contro la Banca nella quale avevo operato.
Si considera vittima di una malagiustizia?
Sono stato messo in mezzo da menzogne e manipolazioni. Da pentiti senza qualità.
Sta insinuando che c’è qualcuno che ha “lavorato” contro di lei? Chi?
Servizi deviati, mafiosi infiltrati, confidenti dei servizi di sicurezza ed intelligence, personaggi ben inseriti nelle Istituzioni. Non accuso la Procura di Palermo… preferisco credere che sia sempre stata in buona fede. Preferisco pensare che i magistrati siano stati manipolati e manovrati da forze oscure.
Rientrerebbe in Italia?
Senza dubbio… considero la mia assenza dal territorio italiano come un
obbligo inflitto da un governo che vive ancora l’incubo fascista.
Ora per Vito Roberto Palazzolo l’obbligo è finito. Può tornare a casa.