Vademecum del candidato “pentito”, le sue rivelazioni fanno tremare la politica… e non solo

Ho atteso qualche giorno prima di dare fiato ai tromboni della mia coscienza che avevano bisogno di esternare non tanto la delusione, quanto il disagio e lo stupore provato, e un tantino di irritazione dopo la lettura della lettera del dott. Pasquale Drago, che anticipava le sue dimissioni da consigliere comunale (e il titolo ironico, ma non tanto, ci sta bene).

Pasquale Drago non è mai stato il mio candidato sindaco, non avevo partecipato alla sua scelta e non ho mai condiviso il progetto politico improvvisato e pasticciato che lo aveva proposto. Questa mia posizione critica credo sia stata esplicitata, e chiarita, nelle tre lettere aperte scritte durante la campagna elettorale e che potrete rileggere in coda.

Non c’è dubbio che le mie sono state delle riflessioni provocatorie di un cittadino, non certamente passivo rispetto alla vita politica cittadina, che volevano esprimere il disagio rispetto alle due candidature del centro-sinistra e sinistra (nel pieno rispetto dal punto di vista personale dei candidati) e dei loro rispettivi progetti politici. Progetti nati in poco più di un mese e destinati ad implodere subito dopo le elezioni. Quindi giustificabile il mio “endorsement” verso il candidato che aveva più possibilità di andare al ballottaggio per poter tentare di sconfiggere Tommaso Minervini, ma non avrei mai immaginato l’epilogo della triste storia.

Condivido le tante riflessioni lette in rete sulla opportunità di questa lettera; sarebbe stato meglio eliminare la seconda parte, e qualche altro passaggio, giustificando l’abbandono per motivi di salute… largo ai giovani e amici come prima (l’avevano fatto altri candidati sindaco molto più giovani).

Invece no, Drago, probabilmente pentito della sua scelta ha voluto affondare le lame dei suoi “ferri del mestiere” nel corpo della sua coalizione evanescente, sicuro di non fare male a nessuno, proprio perché quel “corpo politico” non è mai esistito.

Infatti, Drago, afferma che: …“La nostra coalizione elettorale e stata formata mettendo insieme istanze diverse tra loro e unificate dall’unico fine di “abbattere il tiranno“. Questa diversità …ora rischia di diventare fonte di contrasti e mancate intese sia a livello politico, sia in sede dello stesso Consiglio Comunale.  Quindi, potete constatare da soli come non vi siano le condizioni oggettive perché io diventi il leader di questa coalizione”. “… credo di aver capito dai tanti segnali che mi sono arrivati in questi giorni che vi aspettereste di trovare in me un leader politico in sede locale, ma questo non è realizzabile: non ne ho il carisma, né il temperamento, né, soprattutto, la necessaria formazione politica. E poi leader di quale partito?”…

In queste parole vedo una duplice responsabilità, quella dell’uomo Drago e quella di chi lo ha voluto coinvolgere. L’uomo Drago conosceva bene i propri limiti prima di accettare la candidatura, e chi lo ha coinvolto, pur conoscendo bene questi limiti, è andato avanti senza tenerne conto e quindi è ancor più responsabile. Per quanto riguarda l’aspetto politico il giudizio è ancora più severo. Se un candidato sindaco è consapevole che non c’è una coalizione forte, omogenea e rappresentativa, dice ai suoi sostenitori… signori cari, mi dispiace, non ci sono le condizioni per andare avanti.

Invece no, è andato avanti con metà dei candidati della coalizione, compresi quelli della propria lista, che erano comparse. Del resto lo stesso errore è stato fatto dal candidato sindaco G. Infante. Quindi non possono esserci scuse che tengano. 

Invece la parte della lettera che mi ha più irritato è questa: “Mi sarebbe costato lavoro, impegno, sacrificio (anche economico) e per di più l’assunzione di un rischio già calcolato e messo in conto. Tuttavia, valutavo che un Sindaco ha anche non trascurabili poteri di ordine pubblico dei quali, peraltro, I’attuale  Amministrazione non sembra essersi avvalsa con la necessaria determinazione — come si è potuto constatare anche nella notte della conclusione dello spoglio dei voti — lasciando campo libero a squadre di delinquenti più o meno organizzate, ma probabilmente sobillate dal vero boss della Città (che non si chiama Tommaso, ma Giuseppe). Come Sindaco, oltre a disporre del costante accompagnamento con l’auto di servizio, avrei soprattutto avuto titolo per pretendere in sede di Comitato per l’Ordine e la Sicurezza presieduto dal Prefetto più penetranti misure a tutela della Città, sino a richiedere, ove se ne fossero verificate le condizioni, una scorta personale (non dimenticate cosa a già accaduto a Molfetta il 7 luglio 1992). Tutto questo non mi sarebbe possibile ottenere quale semplice Consigliere, onde mi troverei a condurre completamente isolato e senza alcuna tutela una battaglia priva di prospettive concrete e che, tuttavia, comporterebbe gli stessi sacrificio, lavoro, impegno e rischio completamente inutili. Van bene le situazioni difficilissime, nella quali spero di avervi dimostrato di non tirarmi mai indietro, ma per una battaglia contro i mulini a vento non posso proprio essere disponibile. Ormai penso, purtroppo, che nell’attuale situazione in cui é sprofondata Molfetta solo un deciso intervento repressivo della Magistratura possa avere una qualche efficacia.

Egregio dott. Drago in questa città, da molti anni, ci sono tanti cittadini attivi che senza tutele, senza scorte, senza incentivi economici svolgono un ruolo di opposizione sociale senza fare sconti a nessuno. Molte volte gli stessi vanno anche molto oltre quello che dovrebbero fare i consiglieri di opposizione; un lavoro costante, con sacrifici economici e per di più “l’assunzione di rischi già calcolati e messi in conto”. Le “squadre di delinquenti più o meno organizzati”, che lei ha conosciuto (e spero abbia denunciato) in Piazza V. Emanuele, questi cittadini di cui si parlava, le conoscono bene, le affrontano ogni giorno e le denunciano anche. Se alla fine, poi, sembra che facciano una “battaglia contro i mulini a vento”, probabilmente è colpa di quella parte politica che lei rappresentava, e di altre, che fanno finta di non conoscerle.

Per concludere il passaggio più preoccupante della sua lettera.

Lei non può, come si suol dire, lanciare la pietra e nascondere la mano. Che a Molfetta ci siano dei “boss” l’avevamo immaginato, ma quando leggiamo che ne abbiamo uno in particolare che è il boss più rappresentativo e che si chiama “Giuseppe”, allora lei deve essere più preciso. Ci manca il cognome o il nomignolo. A Molfetta il nome Giuseppe può declinarsi in tanti modi, “Peppino della macelleria”, “Beppe della salumeria”, “Giuseppe l’idraulico”, “Pino il parrucchiere”, oppure “Pinuccio della vattelapesca”.

Almeno questo ce lo deve e se ha notizie precise dell’esistenza di un “boss” della città, ci dica nome e cognome.

Nel 2006, in piena campagna elettorale, un altro “Lillino” fu minacciato in Piazza Paradiso dall’omicida del sindaco Carnicella, ma non ritenne di dover denunciare ai Carabinieri l’accaduto. Lei ha subìto intimidazioni e minacce in Piazza V. Emanuele da un gruppo di balordi “probabilmente sobillati dal vero boss della Città (che non si chiama Tommaso, ma Giuseppe)”.

Forse non ci crederà, ma potrei essere d’accordo con lei, ma deve denunciare l’accaduto alle Forze dell’Ordine, allegando foto e video di quello che è accaduto in Piazza V. Emanuele. Se non l’ha fatto lei, spero che l’abbia fatto qualche autorevole esponente della sua coalizione, o qualche eroe improvvisato che quella sera era presente in piazza.

Per tutto il resto, nulla di nuovo all’orizzonte; ben vengano le dimissioni di qualche responsabile di questa disfatta, si azzeri tutto e si cominci a ricostruire un movimento che sia, allo stesso tempo di opposizione seria all’attuale amministrazione e di costruzione di un progetto politico per la prossima scadenza elettorale. Se non dovesse accadere, allora ha ragione lei, ben venga l’intervento della Magistratura per liberare Molfetta. E questo, vuol dire che ancora una volta ha perso la politica.

di Matteo d’Ingeo

 

 

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