Usura, ritorno al passato; le vittime non denunciano. Resistono omertà e paura

Crisi economica e finanziaria e criminalità. Quella stretta connessione tra spread, contrazione dei capitali, tagli alle spese, riduzione del potere di acquisto, incapacità patrimoniale delle famiglie di soddisfare le proprie obbligazioni e «l’andamento della delittuosità» a Bari e provincia. Aumentano le famiglie schiave dell’indebitamento – e quindi più a rischio usura – in un processo di decrescita infelice che sta coinvolgendo, in maniera pesante anche Bari. A certificarlo in un suo studio è la Consulta Nazionale Antiusura.

I risultati del rapporto redatto dall’associazione presieduta da Mons. Alberto D’Urso, sul lungo termine sono tutt’altro che incoraggianti a livello nazionale: nel corso degli 11 anni della crisi finanziaria, in tutto il Paese, il numero delle famiglie in fallimento economico – per debiti accumulati e per bilancio deficitario – è passato da circa un milione 277 mila unità a quasi due milioni (per l’esattezza 1.959.500). L’ultimo report della Consulta, racconta come le 21 province più esposte sono tutte nell’Italia meridionale. Il fattore di rischio usura è stato calcolato sul modello di quattro classi di indicatori: della criminalità, del rischio finanziario, della sicurezza sociale, dell’economia e del lavoro, per un totale di 29 voci. Nella tristissima classifica delle province che presentano il tasso più elevato di esposizione al rischio di indebitamento patologico e al rischio di usura delle famiglie e delle piccole imprese, Bari occupa la casella numero 84, staccandosi seppur di poco dal novero delle regioni del Sud.

Al capo opposto (basso rischio) tra le venti province meno esposte, soltanto una, Cagliari, si trova insieme alle province del nord est, del nord ovest e del centro nord. Quanto invece alla dimensione ufficiale del fenomeno usura i dati forniti dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno, che fotografano unicamente i delitti emersi in seguito alle segnalazioni delle Forze di Polizia, collocano Bari al 47 posto in Italia, calcolando il numero delle denunce (6) per 100mila abitanti (con una media di 0,4777). Negli ultimi due anni il numero dei casi a Bari ufficialmente è calato del 40%. Se fosse veramente così vivremmo su un’isola felice. In realtà questo «trend» può essere spiegato in una sola maniera: le vittime non denunciano i loro cravattari. Le inchieste sui casi di usura ed estorsione spesso si arrestano e rimbalzano contro il muro dell’omertà e della paura.

Quello che emerge è solo la punta di un iceberg. Se in un’area metropolitana, in una provincia, ad alto tasso di criminalità (comune ed organizzata) come Bari la denuncia non esiste vuol dire che le famiglie, gli imprenditori, i commercianti hanno già piegato la schiena e accettato le regole di un gioco perverso, in cui vittima e carnefice a volta sembrano complici ed entrambi tengono la bocca chiusa. La crisi sta mettendo in ginocchio intere fasce sociali, risucchiando nel disagio anche il cosiddetto ceto medio, mandando in default migliaia di fragili bilanci familiari. Un tempo i soldi dello strozzino servivano per sposare una figlia, oggi per sopravvivere. Un business criminale che sta attirando capitali e investimenti. Un fenomeno in crescita che comprende di tutto: dallo strozzino di quartiere, all’usura bancaria, all’usura di mafia praticata dai clan. Se si guardano le statistiche, il prestito con interessi a strozzo è di fatto un reato depenalizzato (il 70% delle indagini viene archiviato). L’estorsione poi sembra essere stata relegata nella categoria dei «reati lievi» percepiti dalla gente come poco invasivi. Tutto sommato basta pagare e si sta tranquilli. Come si fa per le tasse. La recessione morde alla gola e sta anche cambiando il volto della camorra barese che appare più umano. Le operazioni di rientro dei prestiti usurai, ad esempio, ristagnano in una palude nella quale stanno affondando decime di creditori insolventi. Questi cattivi pagatori stanno trascinando con loro le «finanziarie» clandestine amministrate dai Parisi, dai Capriati, dai Telegrafo, dagli Strisciuglio. In sofferenza, a causa del boom di crediti, non ci sono solo gli istituti bancari legali, quindi, ma anche quelli clandestini alle prese con un numero sempre maggiore di «clienti allo sportello» a forte rischio insolvenza. Una contingenza sfavorevole che ha costretto la criminalità a modificare il proprio «business plan» a cambiare le proprie strategie nel rapporto con i «clienti».

Chi si è piegato al racket, chi è già prigioniero, chi per pagare il primo cravattaro, ad esempio, ha accesso un «mutuo» con un secondo usuraio, chi non ha più porte a cui bussare, santi a cui votarsi, alla fine smette di pagare per quanto crudeli e spaventose possano essere le minacce dei creditori. E allora la malavita, gli usurai, sono costretti a ricontrattare importo e durata del prestito concesso, ad accettare un pagamento dilazionato in tempi più lunghi rispetto a quelli concordati. Stesso discorso per i piccoli usurai «fai da te», quelli per intenderci che non fanno parte delle famiglie di mafia. Nella sua struttura tradizionale, nei suoi interessi specifici la camorra barese sembra quasi trasfigurarsi e mostrare il suo volto «solidale». Investire in una usura a misura di crisi resta comunque un modo sicuro per esercitare un «controllo sociale» e per affermare la presenza del clan.

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