Il depuratore di Molfetta
Foto: © MolfettaLive.it – di Lorenzo Pisani
La Eurodepuratori spa era in liquidazione ma avrebbe continuato a ricevere 84mila euro ogni bimestre per la manutenzione del depuratore in contrada Lago Tammone.
È solo uno dei particolari che emerge dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Trani, che giovedì ha portato al sequestro dei quattro impianti di depurazione di Molfetta, Andria, Barletta e Trani.
I sequestri preventivi, eseguiti da Guardia di finanza di Barletta e Capitaneria di porto di Bari, permetteranno di acquisire ulteriori elementi probatori. Sono ventuno le persone iscritte nel registro degli indagati.
Andria, Barletta, Trani e Molfetta. Popolose città che non potevano contare su impianti perfettamente funzionanti. Con conseguenze facilmente ipotizzabili: i liquidi finiti in mare e analizzati presentavano valori alterati di azoto e fosforo, elementi che oltre ad aver deturpato l’habitat marino avrebbero causato anche l’eccessiva proliferazione di alghe. Anche nella versione più aggressiva, la cosiddetta “alga tossica”. Ma l’attenzione degli inquirenti è puntata anche sui contratti e la manutenzione dei siti.
Nove sono gli indagati per il depuratore molfettese. L’ingegnere Fulvio Attanasio, legale rappresentante dal 26 luglio 2010 dell’Eurodepuratori spa in liquidazione; l’ingegner Gennaro Pisano, presidente del cda della stessa società fino al 26 luglio 2010; Il professor Giuseppe Gioia, presidente della commissione collaudo; i professori Giovanni Silvestri e Vitantonio Amoruso, componenti della commissione collaudo; la dottoressa Maria Antonia Iannarelli, dirigente del Servizio Tutela acque della Regione Puglia. Da identificare il legale rappresentante dell’Ato Puglia (l’autorità idrica pugliese).
Ma i nomi più noti ai molfettesi sono quelli di Rocco Altomare, ex dirigente comunale arrestato lo scorso anno nell’operazione “Mani sulla città” e Vincenzo Balducci, dirigente del settore Lavori Pubblici del Comune.
La storia dell’emergenza in contrada Lago Tammone comincia nel 2005. Siamo in piena crisi rifiuti. Per conto del commissario per l’emergenza ambientale in Puglia, viene erogato dal Comune di Molfetta un finanziamento di circa 3,4 milioni di euro per opere di adeguamento dell’impianto. Destinataria un’associazione temporanea di imprese (Ati) composta anche dall’Eurodepuratori spa.
Dopo due anni, nonostante il pagamento bimestrale del canone di 84mila euro, i lavori non sono ancora completati: lo accertano gli ispettori dell’Aquedotto pugliese inviati dalla Regione. Ci si aspetterebbe la risoluzione del contratto, e in effetti è quanto chiede la Regione. Ma è l’Ati invece a fare causa al Comune e quest’ultimo firma con il sindaco Antonio Azzollini una transazione da 750mila euro, che sposta il termine ultimo dei lavori al settembre del 2009.
Intanto, in corso d’opera il contratto inizialmente stipulato “a corpo” passa “a misura”. La differenza non è da poco. Nel primo caso l’importo non può subire variazioni per l’intera durata dei lavori, nel secondo la somma si determina a opera finita.
Gli anni passano, si va di proroga in proroga e aumentano le spese. Dal Comune vengono stanziati altri 336mila euro per lavori “extra”.
Le indagini avrebbero accertato ancora altro. La ditta Eurodepuratori spa va in liquidazione, ma avrebbe continuato a percepire ogni due mesi gli 84mila euro del canone. Fino al penultimo bimestre del 2012. E a maggio di quest’anno il Comune ci avrebbe ripensato ancora, modificando nuovamente il contratto e tornando alla modalità “a corpo”. Ma è troppo tardi, le indagini sono state già avviate.
Oggi il depuratore lavora a scartamento ridotto. Le opere finanziate nel lontano 2005 non sono state completate, né collaudate. Questo, secondo la procura di Trani, avrebbe impedito al commissario regionale per i rifiuti di revocare il finanziamento e indotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri a emettere atti di proroga fino al 31 dicembre 2012 per evitare che gli impianti fossero dichiarati fuori norma.
A mare continuano a essere scaricati reflui scarsamente depurati. I fanghi, se non finiscono sulla costa, sono inviati negli impianti di compostaggio perché non sono a norma per l’uso agricolo e richiedono un nuovo stoccaggio. E nuove spese.
Soldi chiamano soldi. Finora il lago Tammone ha inghiottito oltre 7,7 milioni di euro.