Una taglia da 300mila euro ma poi l’arresto salvò il boss. Gli uomini del clan Palermiti avevano ricevuto l’ordine di uccidere Busco

Pronti a pagare 300mila euro per fare assassinare il capo del gruppo rivale, latitante da mesi e che gli uomini del clan Palermiti di Japigia avevano scovato prima delle forze dell’ordine mentre si nascondeva ad Anzio. L’omicidio — stando al racconto del pentito Domenico Milella, detto ’U gnur — era stato commissionato ad alcuni killer professionisti da Giovanni Palermiti (figlio del boss Eugenio) e da Mino Fortunato e aveva come vittima designata Tonio Busco, il “ traditore” che prima aveva avviato un’attività autonoma di spaccio e poi aveva ucciso Giuseppe Gelao e ferito Antonino Palermiti (il nipote del boss).
Una vendetta mafiosa, su cui indaga la Direzione distrettuale antimafia, che sta facendo luce sulla guerra del 2017 a Japigia. Scontro che Milella ha raccontato con dovizia di particolari nell’interrogatorio a marzo davanti al pm Ettore Cardinali (che gestisce il collaboratore insieme con i colleghi Fabio Buquicchio e Federico Perrone Capano). Il primo a morire fu Franco Barbieri, il 17 gennaio di quattro anni fa; a seguire Giuseppe Gelao il 6 marzo; quindi Nicola De Santis il 12 aprile. Barbieri e De Santis erano uomini di Busco e Gelao l’amico fraterno di Milella, il quale dopo l’omicidio cominciò a uscire travisato, « portavo una parrucca per non farmi riconoscere», indossando il giubbotto antiproiettile e con una macchina blindata. «Io, Giovanni Palermiti, Filippo Mineccia avevamo ragazzi di scorta, perché sapevamo che Busco voleva fare la guerra».
Temevano di essere uccisi, nonostante Busco dopo l’omicidio Gelao avesse inviato una lettera a Palermiti e Milella in cui diceva: « Questa guerra che stiamo facendo è inutile… finirà che vincerà la magistratura… », lanciando un appello alla pace. Ma Milella e i suoi non gli credettero, ha raccontato il pentito: «Loro volevano uccidere me, dicevano “ Mo’ il problema è Mimmo e poi è finita la storia di Japigia”, perché a Eugenio (Palermiti) non lo pensavano proprio, dicevano che si era fatto vecchio». E infatti ’U gnur scampò a un paio di agguati. La prima volta « ci salvò il padre di Tonio Ripoli, che vide due motori spenti in una campagna vicino casa sua e disse al figlio “ non far scendere a Mimmo” ». La seconda volta fu Milella in persona, tramite le telecamere di casa, a vedere in diretta tre macchine arrivare vicino l’abitazione e capì che erano lì per ucciderlo.
Per questo non tornò dalla famiglia per un lungo periodo. Busco, invece, «prima se ne andò dalla suocera, poi a Lecce » . Laddove i suoi avversari arrivarono poco dopo la sua fuga: «Lui se ne andò e al suo posto fece andare Daviduccio Monti, così se qualcuno andava ad ammazzare ammazzava a Davide». Busco, invece, trovò rifugio ad Anzio. E anche lì Milella e Palermiti lo scovarono. Prima piazzarono un gps sotto la macchina della moglie, ma lo strumento si ruppe, e poi ottennero una soffiata dal suocero: « Ci disse la via, la palazzina e tutto, perché lui aveva nascosto i soldi di Busco dalla zia e se noi lo ammazzavamo, lui si prendeva i soldi » .
Milella non voleva ucciderlo, però, e nemmeno il boss Eugenio Palermiti, che disse: « Se lo ammazzate a Roma poi prendete l’ergastolo». Giovanni Palermiti, invece, era deciso: «Me la sto vedendo tutto io, mo’ lo devono ammazzare. Quelli sono arrivati già là, però se lo fanno gli dobbiamo dare dei soldi » . Ogni componente del clan avrebbe dovuto contribuire con 15- 20mila euro a testa, fino ad arrivare a 300mila euro. Stando al racconto di Milella, i killer sarebbero giunti ad Anzio ed erano pronti a compiere la missione di morte ma i carabinieri, arrivati appena prima, fecero finire Busco in manette, salvandogli la vita.
 
fonte: CHIARA SPAGNOLO – bari.repubblica

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