
di Gianni Lannes
Estate esplosiva nel Mare Adriatico, addirittura all’interno di un’area protetta. «Merde diable. Ci siamo immersi all’isola di Pianosa per ammirare le praterie di Posidonia ma abbiamo sfiorato con mano un tappeto di bombe inesplose – raccontano visibilmente storditi Antoine e Jean, due subacquei francesi – Potevamo saltare in aria. Perché nessuno segnala questo grave pericolo?». Eppure le autorità italiane sono ben al corrente dal 1945. Ma è possibile che una riserva naturale marina con fondali cristallini e una varietà di flora e fauna unica nel Mediterraneo covi un arsenale esplosivo? Pianosa è la più remota dell’arcipelago delle Diomedee – da cui dista 12 miglia – ultimo lembo di suolo italiano prima del confine con le acque internazionali e poco oltre della Croazia, si staglia a 18 miglia dal Gargano. La minuscola e disabitata isola prende il nome dal suo inconfondibile aspetto pianeggiante. Dal 14 luglio 1989 è zona A: il cuore delle Diomedee.
Ordigni proibiti – Numerosi involucri esplosivi inclusi quelli risalenti al recente conflitto nei Balcani perdono il loro micidiale contenuto, alterando l’habitat marino con gravi conseguenze ambientali e sanitarie. La scoperta è dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che ha censito una minima parte delle bombe Usa. «Le indagini hanno evidenziato un notevole stress per gli animali marini campionati – rivela Luigi Alcaro, ricercatore dell’Ispra – segni di sofferenza e alterazioni a livello biochimico e istologico che possono essere diretta conseguenza del Tnt disperso dalle bombe». Il Tnt – secondo la letteratura scientifica – è un composto solido, giallo e inodore prodotto dalla combinazione di acido nitrico e solforico. Numerose ricerche hanno dimostrato la tossicità di questa sostanza sull’organismo umano che si manifesta a diversi livelli provocando epatite e anemia emolitica, danni all’apparato respiratorio, eritemi e dermatiti. Inoltre, il Tnt è stato qualificato a livello internazionale anche come potenziale agente cancerogeno. Lo studio dell’Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) datato maggio 2003, parla chiaro. Non a caso il rapporto è intitolato “Contaminanti rilasciati dalla corrosione di residuati bellici sui fondali dell’isola Pianosa”. Nonostante la gravità inaudita della situazione, l’opinione pubblica è tenuta all’oscuro dalle autorità. Presso la Capitaneria di Porto di Manfredonia – in provincia di Foggia – nonostante la mancata collaborazione istituzionale, scoviamo un faldone impolverato. La cartellina contiene l’ordinanza numero 27, risalente al 18 ottobre 1972. Il documento, firmato dal tenente colonnelloMariano Salemme, rende noto che «Nella zona di mare circostante l’isola di Pianosa, per una profondità di metri 100, sono depositate su fondo marino un numero imprecisato di bombe aeree che rendono quella zona pericolosa alla navigazione, ancoraggio e sosta di qualsiasi natante, la pesca, la pesca subacquea e balneazione». Pertanto «Dalla data odierna fino a nuovo ordine, nella zona di mare sopra indicata per una profondità di mare di metri 500 (cinquecento) è vietata la navigazione, l’ancoraggio e la sosta di qualsiasi natante, la pesca, la pesca subacquea e la balneazione». Strano. Il Portolano della navigazione non fa menzione degli ordigni e neppure le carte nautiche più aggiornate. Sull’isola e attorno ad essa è vietata «l’alterazione con qualsiasi mezzo dell’ambiente geofisico o delle caratteristiche biochimiche dell’acqua, nonché l’introduzione di armi, esplosivi e di qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, nonché sostanze tossiche o inquinanti» stabilisce il decreto interministeriale del 14 luglio 1989. Non è tutto. Sulla scogliera fa bella mostra un ordigno inesploso risalente alla guerra nei Balcani. Un esame più attento mostra al suolo tracce di deflagrazioni costituite da metallo fuso sulla roccia. Ma il Governo non interviene. L’unica risposta istituzionale risale al 14 ottobre 2005. L’allora ministro della Difesa, Antonio Martino, si limita ad ammettere «il rinvenimento di un numero imprecisato di ordigni bellici risalenti alla seconda guerra mondiale» ma non predispone la bonifica dei fondali. C’è un rischio effettivo in quest’area dal pregevole e fragile habitat, scarsamente controllata dalla guardia costiera? «Nelle acque di Pianosa operano abitualmente pescatori di frodo e in prossimità dell’isola transitano petroliere e spesso gettano l’ancora natanti fuoribordo, circostanze che rendono possibile l’esplosione degli ordigni una volta che essi venissero a contatto con gli scafi» attesta l’interrogazione parlamentare (4-10469) indirizzata il 13 luglio 2004, da Mauro Bulgarelli ai ministri dell’Ambiente e della Difesa. Il deputato dei Verdi aveva chiesto inoltre: «quali iniziative si intendano adottare per rimuovere nel più breve tempo possibile gli ordigni giacenti sui fondali, fonti di gravissimo pericolo per l’ecosistema, per la navigazione e la salute delle popolazioni dell’arcipelago delle Tremiti?».